E’ veramente difficile
scrivere di Man of Steel senza cadere nella banalità. Tanto vale essere sinceri
sin da subito, senza inutili giri di parole: non è un film orrendo (c’è di
peggio, hai voglia…), ma di sicuro non è nemmeno uno di quei film dopo la cui visione
esci estasiato dalla sala (mi è successo con l’ultimo Star Trek), desiderando
ardentemente di rivederli. Insomma, è un film che naviga molto a suo agio nelle
calme acque della mediocrità. L’attore scelto per interpretare Kal’el/Clark
Kent/Superman, Henry Cavill, risulta troppo sex symbol per ricoprire il ruolo
di un personaggio (Kent) alla cui goffaggine siamo stati abituati dalla
versione Donneriana del Film, oltre che dallo storico fumetto. Inoltre appare
troppo freddo e distaccato per l’interpretazione di Superman, ovvero un
Supereroe determinato nello sconfiggere i malvagi e compagnone con i buoni (e
in questo, Cristopher Reeve rasentava la perfezione). Qui invece abbiamo
assistito alla piattezza emotiva più totale. Come si poneva di fronte a Zod (Michael
Shannon), nello stesso modo si poneva di fronte a Lois (Amy Adams), o alla
mamma Martha (Diane Lane), o al padre Jonathan (Kevin Costner). Senza
dimenticare il padre Jor’el interpretato da Russel Crowe che, ad un certo punto,
indossa i panni di un vigile urbano (chi ha visto il film capirà, e io in quel
momento a stento ho trattenuto le risate). Una particolarità del Superman
Snyderiano è la continua (per tutto il film) allegoria cristiana: un alieno che
viene cresciuto da genitori adottivi, dotato di poteri incredibili, che a 33
anni scopre di rappresentare la speranza per il popolo cui non appartiene ma
nel quale vive, ma è pure consapevole che il suo mondo è un altro, che ha un
altro “padre” e che deve sacrificarsi per la salvezza del mondo minacciata dal
diabolico Zod che vuole distruggerlo per dar vita ad un nuovo Krypton. Io
capisco che si volesse “divinizzare” Superman, ma ho trovato esagerate le
continue citazioni bibliche presenti nel film. La presenza di Cristopher Nolan
all’interno del Team Produttivo si è sentita, ma non è stata determinante per
la buona riuscita del film. Dopo il fiaschetto di “Superman Returns” di Bryan
Singer c’era bisogno di un cambio di rotta radicale. Snyder ha cercato di
interiorizzare maggiormente i personaggi, Clark Kent su tutti, usando l’arma (a
doppio taglio) dei continui Flash Back:
il Clark Kent bambino/ragazzo che viene maltrattato dai suoi compagni di
scuola, obbligato dal padre a non reagire, che poi salva vite umane grazie ai
suoi superpoteri e viene rimproverato dal padre che in realtà non voleva che li
usasse per paura che venisse scoperto il suo segreto. Alla lunga tutti questi
flash back stancano, anche perché non sembrano mai arrivare al punto. Come un
racconto che si interrompe sul più bello, e non va più avanti. E veniamo alla
lotta contro il cattivo, Generale Zod: un quarto d’ora di botte da orbi, di
palazzi sfondati, di pugni e calci a più non posso, ovviamente non un filo di
sangue (d’altra parte sono Kryptoniani, mica umani) e poi, bruscamente, tutto
finisce con una mossa degna di un contadino della bassa che uccide una gallina
tirandogli il collo… In tutto questo l’intera New York (Metropolis) viene
totalmente distrutta, ma di cadaveri nemmeno l’ombra. Si vedono solo Superman,
Zod, Lois Lane, Perry White e altre due comparse innominate. Il resto della
popolazione è sparito chissà dove. Sono questi i dettagli che denotano la
pochezza del film, così come la scena iniziale ambientata a Krypton poco prima
della sua distruzione a causa di un collasso dovuto all’esaurimento delle
risorse naturali (tentativo di ingraziarsi il favore degli ecologisti?), in cui
apprezziamo animali mitologici, paesaggi “marziani” e navicelle spaziali che
sparano a caso raggi laser blu. Si denota inoltre l’estrema stupidità dei
regnanti Kryptoniani che, in questo scenario apocalittico, hanno il tempo (e la
voglia) di presiedere un processo sommario ai golpisti con a capo il generale
Zod la cui sentenza si rivela, alla fine, la loro assoluzione (vengono esiliati
in un buco nero e così si salvano dalla distruzione del pianeta). Insomma, poca
attenzione ai dettagli, poca attenzione nella caratterizzazione dei personaggi,
effetti speciali buttati a caso qua e là all’interno del film, dialoghi ai
limiti della farsa (“ehi, tutto bene?” o anche “La gente deve sapere..”) e l’eccessivo
uso del flash back sono i tratti distintivi di questo ennesimo reboot
supereroico di cui, onestamente, tutti avremmo fatto volentieri a meno.
martedì 25 giugno 2013
venerdì 21 giugno 2013
HO VISTO LA LUCE, ALTRO CHE OSCURITA'!!! (ESALTAZIONE POST INTO DARKNESS - STAR TREK)
“Ho voglia di rivederlo, subito, adesso!!!!”: queste le mie testuali
parole all’uscita dalla sala dopo la proiezione di “Into darkness – Star Trek”,
sequel del primo episodio del reboot di una delle saghe cinematografiche più
amate dal pubblico. Il geniale J.J. Abrams ha ridato vita alle avventure del
capitano Kirk e del grande Spock tenendo conto anche del passato (cioè del
futuro) dei personaggi in questione, non ricominciando la storia completamente
da zero e non affogandola in inutili quanto anemici effetti speciali (cosa che purtroppo oggi troppi fanno). Ad esempio, la
scena iniziale del film sembra estrapolata dai vecchi episodi della saga per
quanto risulti “old style” ma non per questo fonte di giudizi negativi. E’ Star
Trek, ragazzi e l’old style è la sua quintessenza. Un’altra cosa che mi ha
fatto esultare pugni al cielo è aver letto, da qualche parte, che il regista si
è imposto sulla casa di produzione girando il film in Imax 2D e permettendo solo
in post-produzione la resa in 3D, dannato 3D, aggiungerei. Bravo J.J., è così
che si fa. Poi, per carità, gli effettazzi speciali non mancano, anzi. Ma sono
distribuiti nel film in maniera tale da non renderlo troppo artificiale, come
un “Avatar” qualunque (e qui mi prenderò gli insulti, ad iniziare dalla mia
amata Silvietta). Una trama avvincente, dialoghi brillanti che inducono,
alternativamente, alla riflessione e alle risate, pochissimi, quasi nessuno,
tempi morti e il giusto mix tra analogico e digitale, come sopra accennato, sono
gli ingredienti che fanno del secondo episodio diretto dal produtttore di serie
TV di successo come Lost, Fringe e Person of interest, molto di più di uno
dei tanti sequel, ma un film che può benissimo esser visto anche senza aver
visto il primo episodio e che entra di diritto nella top ten del 2013. Vi confido che,
prima di ieri, l’idea di andare a vedere “Star Trek” non mi creava sbalzi d’animo
tali da strapparmi i capelli per l’eccitazione, ma posso garantire che, dopo
averlo visto, ho cambiato radicalmente opinione in merito alla saga della
Flotta Stellare. La classica domanda che ci si fa in testa, ovvero “Cosa mi
sono perso per tutti questi anni?!”, me la sono posta mentre uscivo dal cinema.
Saranno le orecchie a punta e le risposte tanto flemmatiche quanto
insopportabili di Spock... Sarà la sfrontatezza di Kirk. Sarà l'Enterprise... Una cosa è certa, J.J. non sbaglia un colpo!!!
martedì 18 giugno 2013
INVASIONE 3D
Da alcuni
anni le case di produzione cinematografiche ci stanno letteralmente ammorbando
con la tecnologia 3D. Il 50% dei film che escono al cinema, anche i più insospettabili
(ad esempio “Il grande Gatsby”), sono in 3D. Si tratta, secondo me, di una
forma di costrizione nei confronti del pubblico assai riprovevole. Innanzitutto
il prezzo del biglietto cresce inspiegabilmente di 3 Euro (4, se non possiedi
già gli occhialini in uso nel cinema, e ogni cinema ha i suoi). Inoltre, molti
film escono esclusivamente in 3D, e ciò
impedisce a chi odia la suddetta tecnologia di andare a vedersi il film al
cinema, obbligandolo ad aspettare l’uscita del blu ray o dvd. Aggiungiamoci
che, se proprio non si può fare a meno di andare a vedere un film in 3D, lo
spettatore è obbligato a guardare lo schermo fermo e ingessato nella stessa
posizione, perché se no le immagini risultano sfocate, provocando oltretutto
fastidiose emicranie e dolori di schiena. Ennesima nota di demerito, il fatto
che la maggior parte delle scene di un film in 3D siano in realtà girate in 2D
(provate a togliervi gli occhiali durante la proiezione e vedrete) che suona un
po’ come una presa per i fondelli a chi va a vedere i film. Ultima cosa, chi
porta gli occhiali da vista e non usa lenti a contatto deve indossare quei
fastidiosissimi occhiali di plastica sopra gli occhiali da vista. Ma che è, una
tortura cinese? Chiediamoci dunque una cosa: a cosa serve il 3D? la risposta è:
a incassare più soldi e a fare incazzare
me e moltissime altre persone.
lunedì 17 giugno 2013
SUPERMAN E BATMAN: PICCOLE GRANDI DIFFERENZE.
Kal’el (chi è veramente), Clark Kent (come vuole apparire agli umani),
Superman (come lo vedono gli umani quando è in versione “Salvatore del Mondo”):
in maniera alquanto blasfema potremmo dire che Superman è uno e trino. Ma
evitiamo, non è il caso. Diciamo invece quello che è: un alieno travestito da
umano che si traveste da supereroe, che vive tra Smallville, Metropolis e il
Polo Nord, si diverte a fare il finto giornalista della testata cittadina e
flirta con la sua collega Lois Lane, e, tra un servizio giornalistico e un
appuntamento galante con la sua adorata, salva il mondo indossando una tutina
azzurra e un mantello rosso. Batman: un uomo, ricco e potente quanto volete, ma
pur sempre e soltanto un uomo, un guerriero “cazzuto” che ha scelto di travestirsi
da ciò che più gli fa(ceva) paura (non si scappa dalle proprie paure, si impara
a conviverci) che si fa forte della sua attrezzatura paramilitare per
combattere “il male” che imperversa per le strade di Gotham City, che ha come
migliori amici il suo maggiordomo (Alfred), un dirigente della sua azienda (Fox)
e il commissario capo della polizia (Gordon), flirta con la sua omologa “Catwoman”,
ma ha sempre il suo cuore rivolto all’amica d’infanzia (Rachel, che, diciamolo,
giusto un attimo prima di morire gli aveva preferito Harvey Dent, in seguito “Due
Facce”). Batman non ha la pretesa di salvare il mondo, ma si limita a
proteggere la sua (letteralmente) città, piena come un uovo di criminali (Bane,
Joker, Ra’s al Ghul e tanti altri). Superman senza poteri sarebbe, come
dimostrato in Superman II di Richard Donner, una vera nullità. Bruce Wayne, che di superpoteri non ne ha, se
non fosse “Batman”, sarebbe comunque un miliardario, filantropo, genio, playboy
(questa l’ho già sentita da qualche altra parte), oltre che un abilissimo
guerriero. La differenza sta nelle piccole cose: Batman è un uomo tra gli
uomini mentre Superman è un alieno che tenta di mimetizzarsi tra gli uomini, e
lo fa pure male. Un deus ex Machina che spunta fuori col suo pigiamino azzurro quando ce n’è bisogno.
Invece Batman/Bruce Wayne c’è sempre, in un modo o in un altro. Mette a
repentaglio la propria vita per la salvezza della sua gente, mentre Superman lo
aveva fatto solo per amore di Lois, per poi tornare, vigliaccamente, sui suoi
passi. Il confronto tra i due non regge.
Batman rimane sempre in cima al mio personale olimpo dei Supereroi.
mercoledì 12 giugno 2013
After Earth
Ieri sono andato a vedere “After Earth”, l’opera ultima di Manoj Nelliyattu Shyamalan a.k.a. M. Night Shyamalan, famoso per aver diretto, tra gli altri, “Il Sesto Senso” e “The Village”. Non so come giudicare questo film. Di sicuro non in maniera positiva. Giusto qualche nota di merito per la scenografia e per qualche “prestito” dal genere horror che ha fatto saltare sulla poltrona gli spettatori, me compreso, ma niente di più. Will Smith, nella figura del padre autoritario, ma con un cuore grande così, mi è parso poco credibile (tra l’altro, con un femore spezzato di netto e senza somministrazione di alcun farmaco antibiotico per più giorni, non un lamento, non una smorfia di dolore, ma soprattutto nessuna infezione o cancrena!). Il figlio Jaden, meno espressivo di un Tobey Maguire con una paralisi ai muscoli facciali, risulta ancor meno credibile nei panni del figlio dell’ufficiale che vuole far ricredere suo padre che lo reputa “non pronto” a diventare un “ranger”. Un film il cui finale appare chiaro e limpido sin dalle prime scene: la navicella spaziale su cui viaggiano gli Smiths, qualche comparsa anonima e una gabbia contenente un mostro alieno pericolosissimo che attacca fiutando i feromoni rilasciati a causa della paura, viene colpita da una tempesta di asteroidi e precipita neanche a farlo apposta sulla terra ormai disabitata e inabitabile per gli umani a causa del disastro ecologico di mille anni prima che obbligò i suddetti a migrare su un altro pianeta. La navicella, una sorta di sogliola gigante, precipitando si spacca in due: la coda e la testa finiscono a 100 km di distanza l’una dall’altra. Si salvano solo gli Smiths, che viaggiavano entrambi nella testa, mentre gli altri passeggeri muoiono tutti nell’impatto. E il mostro alieno (Ursa)? Viaggiava nella coda. Il problema è, ora, lanciare un S.O.S. nello spazio per far giungere i soccorsi. Smith padre, nell’impatto, oltre a ritrovarsi con un femore rotto, distrugge anche il segnalatore. Ce n’è uno uguale nella coda e quindi Smith figlio deve andare a recuperarlo… Dopo mille peripezie (tra cui anche un volo in stile scoiattolo volante inseguito da un’aquila) l’ex karate kid riesce a giungere a destinazione, e chi si ritrova? Tadaaaaan il mostro alieno, più incazzato che mai!!! Chi l’avrebbe mai detto, eh? E chissà come finisce la lotta tra il ragazzino e il mostro… Sono mesi che vado dicendo che ormai ad Hollywood qualcuno deve farsi delle sane trasfusioni di fantasia ed originalità. Ormai esistono solo Remake, Reboot, Sequels improbabili e film doppioni che escono a sei mesi di distanza gli uni dagli altri (“Attacco al Potere” e “White House Down” su tutti). E su dai…
martedì 11 giugno 2013
Il primo film non si scorda mai
Da che ho coscienza e ricordi, mi è sempre piaciuto andare al cinema, “e a chi non piace?!” direte voi? Ebbene, se c’è una persona a cui proprio non piace andare al cinema, quella è mio padre. Dice che si addormenta, e non stento a crederlo, avendo assistito per anni alle sue performances sulla poltrona di casa davanti alla TV: dal momento in cui si sedeva al momento in cui io, insieme a tutto il vicinato, sentivo la prima ronfata, passavano in media 7 minuti netti. Si contano sulle dita di una mano le volte in cui mio padre ha varcato la soglia di una sala cinematografica. Di queste, una è stato quando uscì per la prima volta con mia madre, negli anni ’70. Andarono a vedere “Trash”, ma solo perché c’era di mezzo un quadernetto di appunti che mio padre doveva dare o ricevere (non ricordo) a/da mia madre. Quindi diciamo che “traggo le mie origini dal cinema Trash” ah ah. In effetti è un genere che mi attira particolarmente, anche se oggi lo chiamiamo “Pulp”, grazie a quel geniaccio bastardo di Quentin Tarantino, che è uno dei miei tre registi preferiti (gli altri sono Stanley Kubrick e Sergio Leone). Ritornando al fatto che io abbia sempre amato andare al cinema, dovetti aspettare un bel po’ prima di poter andarci da solo. Una delle prime volte, se non la prima in assoluto, fu quando uscì “Jurassik Park”. Avevo 14 anni. Rimasi impressionato da quanta gente, proprio lo stesso giorno in cui volli andare a vederlo, ebbe la mia stessa idea. C’erano code chilometriche in tutte le sale milanesi che lo proiettavano. Tentai in due cinema di corso Buenos Aires: niente, tutti pieni; viale Tunisia: idem. Allora, sconfortato, insieme al mio amico Ale, dopo una breve consultazione della pagina dei cinema del Corriere, mi diressi verso via Manzoni. Arrivati al cinema, la cassiera ci disse che lo spettacolo delle 15 era tutto esaurito, ma, se volevamo, potevamo già comprare i biglietti per lo spettacolo delle 17.30. E così facemmo. Io mi sentii come se avessi appena compiuto un’impresa titanica: riuscire prendere i biglietti del cinema per vedere “Jurassik Park”. Soddisfazioni di un teenager del selvaggio Hinterland milanese che si affacciava per la prima volta
sulla “grande metropoli”. Il Film era e rimane ancora oggi bellissimo. Ma più del film in sé, mi piacque tutta la situazione. La corsa attraverso mezza Milano per riuscire a comprare in tempo i biglietti, la soddisfazione di tenerli in mano (erano ancora quelli piccoli, rettangolari, rosa, con scritto “posto unico” e che costavano 8.000 lire), il “cestino” di pop corn comprato al bar del cinema, l’odore degli stessi che imperversava in tutta la sala, la “mascherina” che passava tra le poltrone e che vendeva le “bomboniere Motta” e il “cornetto Algida”. Tutte cose che scoprii in quell’occasione. Poi seguirono altri film, altre esperienze. C’è stato un periodo in cui sono mancato molto dalle sale. Ma da un po’ di tempo a questa parte la mia passione per l’evento cinematografico si è infiammata di nuovo. Precisamente da quando mi capitò di seguire un corso universitario di storia e critica del cinema nel 2003. Imparai ad apprezzare il cinema in quanto arte e non solo in quanto evasione. Imparai che non esistono solo i “blockbuster” come lo fu il primo film che andai a vedere a 14 anni. Iniziai a guardare persino quei film definiti dal caro Fantozzi Ragionier Ugo delle cagate pazzesche, imparando ad apprezzarli come si apprezza un bel quadro in un museo. Oggi, vado al cinema una o due volte a settimana, spesso con mia moglie, meno spesso con qualche amico. E’ bello decidere quale sarà il prossimo film da vedere durante i trailer che precedono la proiezione dei film. E’ bello uscire dalla sala discutendo sulla bellezza o meno del film appena visto o sulla bravura o meno di questo o quell’attore. E’ bello andare a rivedere un film appena visto perché ci è piaciuto troppo o perché ci siamo persi qualcosa dalla prima visione. E’ bello andare al cinema.
lunedì 10 giugno 2013
Titoli di testa
Penso sia giusto iniziare così, con i titoli di testa, come per i film. Questo non vuole essere un blog di critica cinematografica, perché non sono un critico cinematografico (non che non mi piaccia l'idea di diventarlo un giorno), ma semplicemente un "diario" su cui scrivere di ciò che mi appassiona di più nella vita: il cinema e le sue mille sfaccettature. Film, attori, registi, curiosità. Non mancheranno i miei giudizi personali sui film, sia quelli appena visti al cinema, sia quelli che mi capita di vedere per la prima volta all'interno delle mura domestiche, sia quelli che occupano i posti più alti nel mio personale indice di gradimento (in parole povere, i miei film preferiti). Ma allargherò il mio raggio d'azione anche al mondo delle serie TV che negli ultimi tempi mi hanno più appassionato. Di roba da scrivere, insomma, ce n'è a pacchi!!!