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lunedì 29 febbraio 2016

2016 ACADEMY AWARDS: AND THE OSCAR GOES TO...



Al Dolby Theatre di Los Angeles si è appena conclusa la cerimonia di premiazione degli Academy Awards presentata da un esplosivo (e alquanto ripetitivo sulla questione Oscar so White) Chris Rock. Mad Max: Fury Road si è aggiudicato il maggior numero di Statuette (sei), ma si tratta di premi prevalentemente "tecnici".
I veri trionfatori della serata sono Il caso Spotlight (Spotlight) che si porta a casa i premi per la miglior sceneggiatura originale e,  soprattutto, per il miglior film e Revenant - Redivivo (The Revenant) che si è aggiudicato le statuette per la  fotografia (Emmanuel Lubezki),  per la Regia (Alejandro Gonzalez Inarritu) e per il Miglior Attore Protagonista (finalmente Leo!!!).
Al Maestro Ennio Morricone, per The Hateful Eight, il premio per la Miglior Colonna Sonora.
Ecco, nel dettaglio, tutte le assegnazioni:  


- MIGLIOR FILM: IL CASO SPOTLIGHT (SPOTLIGHT) DI TOM MCCARTHY;

- MIGLIOR REGIA: ALEJANDRO GONZÁLEZ INÁRRITU PER REVENANT - REDIVIVO (THE REVENANT);

- MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA: LEONARDO DICAPRIO PER REVENANT - REDIVIVO (THE REVENANT);

- MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA: BRIE LARSON PER ROOM;

- MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA: MARK RYLANCE PER IL PONTE DELLE SPIE (BRIDGE OF SPIES);

- MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA: ALICIA VIKANDER PER THE DANISH GIRL;

- MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE: TOM MCCARTHY E JOSH SINGER PER IL CASO SPOTLIGHT (SPOTLIGHT);

- MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: CHARLES RANDOLPH E ADAM MCKAY PER LA GRANDE SCOMMESSA (THE BIG SHORT);  

- MIGLIOR FILM STRANIERO: IL FIGLIO DI SAUL (SAUL FIA) DI LASZLO NEMES (UNGHERIA);

- MIGLIOR FILM D'ANIMAZIONE: INSIDE OUT DI PETE DOCTER E RONNIE DEL CARMEN;   

- MIGLIOR FOTOGRAFIA: EMMANUEL LUBEZKI PER  REVENANT - REDIVIVO (THE REVENANT);

- MIGLIOR SCENOGRAFIA: COLIN GIBSON E LISA THOMPSON PER MAD MAX: FURY ROAD;

- MIGLIOR MONTAGGIO: MARGARET SIXEL PER MAD MAX: FURY ROAD;

- MIGLIOR COLONNA SONORA: ENNIO MORRICONE PER THE HATEFUL EIGHT;

- MIGLIOR CANZONE: WRITINGS ON THE WALL DI JIMMY NAPES E SAM SMITH DA SPECTRE;

- MIGLIORI EFFETTI SPECIALI: MARK WILLIAMS ARDINGTON, SARA BENNETT, PAUL NORRIS E ANDREW WHITETHURST PER EX-MACHINA;

- MIGLIOR SONORO: CHRIS JENKINS, GREGG RUDLOFF E BEN OSMO PER MAD MAX: FURY ROAD

- MIGLIOR MONTAGGIO SONORO: MARK MANGINI E DAVID WHITE PER MAD MAX: FURY ROAD;

- MIGLIORI COSTUMI: JENNY BEAVAN PER MAD MAX: FURY ROAD;

- MIGLIOR TRUCCO E ACCONCIATURA: LESLEY VANDERWALT, ELKA WARDEGA E DAMIAN MARTIN PER MAD MAX: FURY ROAD;

- MIGLIOR DOCUMENTARIO: AMY DI ASIF KAPADIA;

- MIGLIOR CORTOMETRAGGIO DOCUMENTARIO: A GIRL IN THE RIVER: THE PRICE OF FORGIVENESS DI SHARMEEN OBAID - CHINOY;

- MIGLIOR CORTOMETRAGGIO: STUTTERER DI BENJAMIN CLEARY E SERENA ARMITAGE;

- MIGLIOR CORTOMETRAGGIO D'ANIMAZIONE: BEAR STORY DI GABRIEL OSORIO VARGAS;


mercoledì 24 febbraio 2016

TIRAMISÙ, QUATTRO CHIACCHIERE CON FABIO DE LUIGI E VITTORIA PUCCINI


Durante il breve incontro con la stampa in vista dell'imminente uscita di TIRAMISÙ, il regista e sceneggiatore Fabio De Luigi, qui al suo esordio, accompagnato per l'occasione dalla co-protagonista del film Vittoria Puccini, ci ha raccontato, tra le altre cose, come è stato passare alternativamente da davanti a dietro la Macchina da presa e di cosa ci vuole raccontare con questa sua pellicola. Ecco come è andata. 
Quella che leggerete è una breve intervista collettiva che ha visto la partecipazione alternata di diversi  altri blogger (che ringrazio) oltre a quella di chi scrive.

Fabio, da esordiente, c'è qualcosa che ti ha ispirato per la scrittura e la direzione di Tiramisù, o è nato tutto da te?

No, ispirazioni particolari non ne ho avute, Tiramisù mi è nato dentro e poi, man mano che procedevo con la scrittura, le idee venivano fuori quasi da sole, in maniera molto naturale. Mi premeva innanzitutto fare le cose per bene. Qualcuno, non ricordo bene chi, diceva che "a far bene o a far male qualcosa si impiega lo stesso tempo". Tanto vale, dunque, cercare di farla bene, no? (ride). L'attenzione io ce l'ho messa: più di così non avrei saputo fare.

Da cosa è nata la decisione di sceglier Vittoria Puccini come tua partner nel film?

- Vittoria, nel frattempo, ruba il microfono a Fabio e risponde al suo posto - Mi sono imposta io! Gli ho detto "O scegli me, o finisce male" (ride).
Fabio aggiunge: Esatto, è andata così. Scherzi a parte, lei era quella che meglio si adattava al ruolo alla parte di Aurora, personaggio dolce e sobrio ma allo stesso tempo risoluto e tutto d'un pezzo.

Vittoria, come ti sei trovata "diretta" da fabio?

Bene, perché Fabio, in quello che fa, ci mette molta passione. Sia come artista, come regista, come attore... 

Fabio, come ti è venuta in mente l'idea del tiramisù?

Mi piaceva il fatto che un dolce così semplice potesse cambiare la vita ad una persona destinata, altrimenti, a continui fallimenti, sia in campo lavorativo, che affettivo. Il dolce lo tira su, ma lo tira anche giù, come vedrete nel film.

Fabio, come è stato "dirigersi"? Quali differenze hai trovato rispetto alla tua esperienza da semplice attore, diretto da qualcun altro?

Devo dire che ho corso tantissimo!!! Ma allo stesso tempo mi sono preso anche tutto il tempo necessario per riflettere su come poter soddisfare sia me, che sono molto pignolo in tutto, che coloro i quali hanno deciso di fidarsi ciecamente di me. Io sono l'attore che mi ha fatto più penare, comunque. Fortunatamente avevo al mio fianco dei validi aiutanti, non solo in campo registico, che mi hanno reso tutto più facile. (al che Vittoria fa un cenno di conferma).

Vittoria, solitamente ti vengono affidati ruoli molto drammatici. Anche in un film scanzonato come Tiramisù hai impersonato il personaggio forse più serioso e meno comico tra tutti... 

- Vittoria mi risponde interrompendomi durante la formulazione della domanda - Sì, ma io mi diverto a partecipare alle commedie e ringrazio Fabio che me ne ha data l'opportunità. Infatti Aurora, all'interno di questa divertente commedia, è forse il personaggio maggiormente drammatico tra tutti. Personaggio che, comunque, mi calza a pennello, anche in forza alle mie precedenti esperienze in veste di attrice drammatica. Sono felice di questa opportunità perché a me piace molto sperimentare, e mi piace il fatto che Fabio abbia affrontato una sorta di scommessa affidandomi un ruolo per me così nuovo e inconsueto. 

Luca Cardarelli 





TIRAMISÙ DI FABIO DE LUIGI


Esordio da regista per FABIO DE LUIGI che in Tiramisù compare anche in veste di sceneggiatore e protagonista. Al suo fianco la bella (e brava) VITTORIA PUCCINI che interpreta Aurora, la moglie di Antonio, un maldestro e inconcludente rappresentante di articoli medico-sanitari (garze e cerotti) sull'orlo del licenziamento. Un giorno però la vita di Antonio cambia: Aurora gli chiede di portare un tiramisù fatto con le sue mani alla Caritas. Antonio, invece di portare il dolce a destinazione, lo lascia sul tavolo di un medico durante un incontro di lavoro. Grazie a quel tiramisù, buonissimo, Antonio riuscirà a vendere la sua merce a quel medico, rimasto estasiato dopo averlo assaggiato e inizierà quindi a corrompere molti altri medici scalando rapidamente le posizioni societarie fino ad ottenere un posto di prestigio nella sua azienda ma, allo stesso tempo, vedrà iniziare a scricchiolare la sua vita sentimentale con Aurora e, rocambolescamente, tenterà di porvi rimedio.


Tiramisù è un film semplice che si fonda su una storia non certamente originale, per non dire già vista, e per questo non fa molta presa sullo spettatore che, già dai primi minuti di pellicola, immagina come si dipanerà la matassa. Risultano tuttavia divertenti i diversi sketch che vedono protagonista Fabio De luigi duettare con Angelo Duro che nel film interpreta Franco, il fratello di Aurora, con Bebo Storti, il suo capo Mannini, e con Giovanni Esposito (il Dottor Massimo). Ma è troppo poco, il film appare come una copia sbiadita delle commedie di Alessandro Genovesi alle quali De Luigi, per altro, ha partecipato in veste di attore, interpretando sempre lo stesso identico ruolo. 


Buona prova per Vittoria Puccini che però non salva il film (così come i cameo di Pippo Franco e del Baffo della Birra Moretti, Orso Maria Guerrini), anzi, finisce con tutti nel vortice di negatività che pare risucchiare l'intera pellicola. Il finale, poi, è assai deludente per quanto paia poco curato, affrettato e prevedibilissimo. Sembra quasi che si avesse una voglia matta di chiudere baracca e burattini e andare tutti a casa. Il fatto che fosse l'esordio per De Luigi alla regia attenua, ma solo in parte, le sue colpe. 
Uscita prevista per il 25 febbraio.
Voto: 5-/10
Luca Cardarelli





mercoledì 17 febbraio 2016

ONDA SU ONDA DI ROCCO PAPALEO


Rocco Papaleo, dopo averci dipinto gioie e dolori dell'Italia del Sud con Basilicata Coast to Coast e Una piccola impresa Meridionale, sbarca in Sud America, a Montevideo, Uruguay, con questa commedia dal sapore dolce e amaro allo stesso tempo con cui ci racconta la disavventura di Gegè  Cristofori, interpretato da Papaleo stesso, un cantante folk caduto in disgrazia che, a distanza di trent'anni, viene richiamato ad un ritorno sulle scene uruguayane da una donna che, pur di rivederlo sul palco, si dice disposta a pagargli un lauto cachet oltre che vitto e alloggio per tutta la durata del soggiorno. Accolto a Montevideo dalla giovane Manager Gilda Mandarino (Luz Cipriota), dopo un lunghissimo viaggio su una nave merci e senza voce a causa di un dispetto dello stacanovista cuoco di bordo Ruggero (Alessandro Gassman), decide di farsi sostituire proprio da quest'ultimo, costringendolo a seguirlo a terra e dando inizio ad un infinita serie di equivoci e situazioni impreviste e paradossali.


Chissà se Papaleo con questa sua traversata oceanica abbia voluto rendere omaggio alla Nazionale di Calcio Italiana che, nel 1950, si recò in Brasile per i Mondiali non in aereo ma, ancora scioccata dalla Tragedia di Superga, in nave. Fatto sta che a noi l'ha ricordata e ci piace revocare anche questi avvenimenti storici parlando di un film che, alla fine, ci riporta indietro nel tempo, a quando gli italiani cercavano fortuna (o semplicemente la sopravvivenza) trasferendosi in Sud America, terra ricca di opportunità e in forte crescita industriale.


Ma a Gegè va tutto male, o quasi. E, come ogni italiano che si rispetti, cerca di metterci una toppa e rimediare alla meno peggio. Onda su Onda è il classico film on the road, ma alla Nostra maniera. La coppia Papaleo-Gassman si conferma affiatatissima e divertente e quel tocco di ingenuità e freschezza data dalla esordiente (per il cinema italiano) Luz Cipriota non fa che accrescere la godibilità di un film che fa quel che deve fare: intrattiene e fa riflettere. Mette di buon umore e nello stesso tempo commuove.


Papaleo e Gassman si fanno archetipi dell'uomo solo e solitario che trova sempre un modo per andare avanti e affrontare le disavventure sfrontatamente, quasi come se non gli importasse nulla del risultato finale perché l'importante è provarci. E questo cambia profondamente la vita di tutti. Di Ruggero, di Gegè e anche di persone terze (Gilda Mandarino)  della cui esistenza, prima di questo viaggio affascinante, ma anche ricco di insidie nascoste, i nostri protagonisti non erano nemmeno a conoscenza.
Buon ritmo, idea di fondo sicuramente non originale ma nemmeno banale, buono sviluppo della storia e ottima alternanza tra comicità e momenti di introspezione e riflessione da parte di tutti i personaggi, accuratamente scritti e messi in scena.


Ci sentiamo di promuovere questa commedia perché è anche grazie a film come questo che il cinema italiano può sperare di andare avanti.
Uscita prevista per il 18 febbraio.
Voto: 8/10.
Luca Cardarelli




lunedì 15 febbraio 2016

ZOOTROPOLIS DI BYRON HOWARD E RICH MOORE (WALT DISNEY ANIMATION STUDIOS)


Il Cinquantacinquesimo film d'animazione targato Disney Animation, dopo i grandissimi successi di Frozen (2013) e Big Hero 6 (2014), ci porta in un mondo interamente abitato da animali, Prede e Predatori, la cui città principale si chiama Zootropolis. Judy Hopps, una coniglietta nata e cresciuta in campagna in una famiglia di contadini, non vuole assolutamente seguire le orme dei genitori in quanto sogna di diventare la prima coniglietta Poliziotto della storia di Zootropolis. 
Centrato l'obiettivo di entrare in polizia, Judy viene però relegata alla mansione di ausiliare del traffico perché il Capitano Bogo non crede possa fare altro date le sue minute dimensioni. 
Ben presto però il Capitano dovrà ricredersi in quanto Judy, con l'aiuto della Volpe Nick Wilde,  un civile che vive di espedienti, l'aiuterà a risolvere un caso molto spinoso che affligge la città di Zootropolis.


Promosso da un accattivante e ridereccio Trailer, Zootropolis è un piacevole film infarcito dei più classici messaggi etici-morali, tipici dei film Disney destinati ad un pubblico poco più che infantile (credere in se stessi, non accontentarsi mai, non discriminare il "diverso" e chi più ne ha più ne metta), ma con in più anche una potente critica ai media (su tutti la strategia della "paura", facilmente assimilabile alla nostra società relativamente alle polemiche scaturite da problemi come immigrazione e terrorismo) e una forte dose di citazionismo spinto dedicato ai più grandicelli (fa un po' impressione vedere citati in maniera più che dettagliata, tra gli altri, una Crime serie come Breaking Bad e un Gangster Movie del calibro de Il Padrino in un film, tutto sommato, per bambini).


Zootropolis fa ridere, commuovere e apprezzare molto la sua componente Action. 
Un film che piacerà in egual misura ai più piccoli e ai loro accompagnatori adulti. 
Uscita prevista per il 18 febbraio.
Voto 8/10



   


venerdì 12 febbraio 2016

POINT BREAK DI ERICSON CORE


I remake cinematografici degli ultimi anni si dividono in due categorie: quelli inutili ma fatti bene e quelli inutili e fatti male. A quale categoria apparterrà il nuovo Point Break, diretto e fotografato da Ericson Core (direttore della fotografia anche nel primo Fast and Furious e in Daredevil, sì, proprio quello con Ben Affleck)? Scopriamolo insieme.
Pedissequamente alla trama dell'originale Point Break - Punto di rottura diretto da Kathryn Bigelow, il nuovo Point Break parla di Johnny Utah/Luke Bracey, ex atleta di sport estremi. Arruolatosi nell'FBI dopo aver mollato la carriera sportiva, Utah viene infiltrato in una banda di ragazzi (comandati da Bodhi/Edgar Ramirez) che, oltre ad essere degli scavezzacollo come lo era lui, sono anche dei rapinatori ed ecoterroristi


Sebbene siano apprezzabili alcune sequenze che ritraggono scalate di montagne impossibili, surfate di onde anomale e lanci nel vuoto in tute da scoiattoli volanti, il film è veramente debole sia dal punto di vista narrativo che dal punto di vista dei dialoghi, rasentando il ridicolo in alcuni punti per i quali l'imbarazzo da parte di chi guarda si fa mastodontico e foriero di numerosi Facepalm che nemmeno in un film marchiato the Asylum... (Almeno quelli dell'Asylum sono consapevoli di offrire supercazzole ridicole che fanno del WTF il loro punto di forza, ma questi di Point Break ci credono veramente!!!). 


La vetta suprema del WTF questo film la raggiunge con la scena che, secondo il regista, avrebbe dovuto rievocare l'ultima scena di Point Break in cui Keanu Reeves lascia a Patrick Swayze la libertà di sfracellarsi su uno Tsunami gigantesco. I protagonisti sono su una barca, il mare è tipo a forza 10 e la barca non solo non si cappotta in balia delle onde, ma i due, in perfetto equilibrio, nemmeno sembrano bagnarsi (oltre al mare in burrasca, è in corso anche un temporalone di quelli formato famiglia). 
Come se non bastasse, la risoluzione grafica di questa scena è al livello di un film amatoriale girato con una videocamerina palmare e montato su uno sfondo creato al pc con movie-maker
Pessimo. Avete capito ora in quale delle due categorie di cui sopra rientra il nuovo, sfavillante Point Break
Voto: 4/10
Luca Cardarelli




giovedì 11 febbraio 2016

PERFETTI SCONOSCIUTI: DUE CHIACCHIERE CON PAOLO GENOVESE



In vista dell'uscita di Perfetti Sconosciuti, prevista per l'11 febbraio, abbiamo incontrato il Regista romano Paolo Genovese per scambiare 'na chiacchiera (come l'ha definita egli stesso) sul film e sul cinema in generale, finendo anche col parlare di come la tecnologia al giorno d'oggi abbia completamente cambiato la vita di tutti noi, sia in negativo che in positivo. Buona lettura.

Perfetti Sconosciuti è un film che induce ad una profonda riflessione su temi molto importanti quali l'accettazione di se stessi, del prossimo, l'omosessualità, l'omofobia e, infine, la fiducia riposta ciecamente nel partner e da questo mal ripagata. La definiresti una commedia a tinte drammatiche o un dramma mascherato da commedia?

Io penso che, negli anni, si sia un po' perso il vero significato del termine commedia. Sento spesso, come hai appena fatto tu, unire questo termine all'aggettivo drammatica. Quello che vorrei che tutti capissero è che la commedia vera ha anche il dramma al suo interno, sempre. Prendiamo classici del cinema italiano come La Grande Guerra e Il Sorpasso: sono commedie, no? Però alla fine i protagonisti muoiono. Quindi l'elemento drammatico è strapresente, insito nel concetto di Commedia stesso. Definire Perfetti Sconosciuti una commedia dovrebbe bastare, in quanto ogni commedia, di per se, ha al suo interno risvolti anche drammatici.

E infatti, parlando proprio degli sviluppi delle vicende di questo film, l'emozione che più avvolgerà l'animo degli spettatori sarà l'angoscia...

È un po' questo, infatti, il senso della commedia: la sua grandezza sta nel fatto che, come un Cavallo di Troia, entra inoffensiva nell'animo dello spettatore per poi esplodergli dentro come un virus. E questo le riesce molto facilmente in quanto, al contrario del cinema d'autore, la commedia è qualcosa di molto popolare, accettata di buon grado da un pubblico molto vasto e, proprio per questo, diventa un ottimo mezzo per diffondere messaggi anche profondi ad un maggior numero di persone. Film come  La vita è bella o Train de vie trattano entrambi un argomento gravoso come la deportazione degli ebrei e la Shoah in una maniera tale da essere accettata da un pubblico molto vasto, portandolo a riflettere e risultando più efficaci in ciò rispetto a tanti altri film che trattano gli stessi argomenti in maniera però più seriosa e austera.

Cambiamo totalmente argomento, analizzando dal punto di vista tecnico Perfetti Sconosciuti. Questo è un film girato quasi interamente in un ambiente chiuso, in questo caso un appartamento. Quante difficoltà ha comportato rispetto ad altri film girati anche in esterni?

Molte, ad essere sinceri. Girare un film in interni equivale a cucinare un piatto con pochissimi ingredienti a disposizione. In questo caso l'unico ingrediente è costituito dalla storia che si cerca di raccontare. Se la storia non funziona, il film risulterà essere mortale! Girare in esterni fornisce, drammaturgicamente parlando, molte più possibilità narrative: hai a disposizione gli spazi, diversità di location, musiche, panorami, ampiezza, che sono tutti elementi con cui puoi accompagnare la tua narrazione. Nello spazio chiuso, invece, il testo è l'elemento principale e la regia ne deve seguire le emozioni senza potersi distaccare troppo dai personaggi. Quando sento dire, però, che Perfetti Sconosciuti è un film teatrale mi vengono i brividi. Secondo me questa definizione tradisce un'analisi molto superficiale del film. La teatralità non è data dal fatto che il film sia girato in un ambiente chiuso. C'è una differenza sostanziale tra la messa in scena teatrale e quella cinematografica: a teatro tu, spettatore, sei di fronte ad una totalità e volgi lo sguardo verso ciò che tu decidi di seguire. Nel cinema invece sono io, regista, che ti impongo cosa guardare. Il teatro è il tutto. Il cinema è una parte del tutto. E sono io, regista, a selezionarla ed offrirtela.

Parlando dei personaggi, qual è stato quello più difficile da scrivere e portare in scena?

Sicuramente Lele, interpretato da Valerio Mastandrea, non tanto per il personaggio in sé, ma per le tematiche che va a toccare. Insieme a quello di Cosimo (Edorardo Leo).  Il tema andato a sviluppare con questi personaggi, l'omofobia, è infatti uno dei più delicati, se non il più delicato in assoluto: una parola più, o una in meno, e tutti ti punteranno il dito contro. Un altro problema derivante dallo sviluppo di questo tema è inoltre che è molto facile scadere nella banalità o nella scontatezza, e sono molto contento di averlo trattato in maniera originale come vedrete nel film.

E il gioco del cellulare? Da dove è partita questa idea? 

Sono ormai vent'anni che il cellulare è diventato qualcosa di molto simile ad un organo vitale, del quale la gente sembra non riuscire a fare a meno. Nel momento in cui ho deciso di fare questo film, che parla della vita segreta delle persone, ho pensato che mai nessuno aveva deciso di trattare quell'argomento partendo da uno spunto del genere: il cellulare visto come una scatola nera che, una volta aperta, produce effetti devastanti come il leggendario Vaso di Pandora.

Ultima domanda: se potessi, torneresti ai tempi in cui il cellulare non esisteva, o non era così tanto invadenti?

Premettendo che io, orgogliosamente, faccio parte della "generazione dei citofoni" (che ora sembra non esistere più), no, non tornerei indietro. Perché comunque il cellulare è uno strumento utilissimo, a meno che non se ne faccia un uso patologico. Indubbiamente quest'oggetto ci ha cambiato la vita, ci ha interconnessi con il mondo, tramite il web e i social networks. Il mio film non va contro queste cose. Se uno si limita ad un utilizzo fisiologico, il cellulare non gli potrà mai creare problemi.
Però ho notato una cosa non molto bella riguardo le relazioni sentimentali: oggi ci conosciamo, ci corteggiamo, ci seduciamo attraverso i social e i servizi di instant messaging. Trovo che sia una cosa tremenda perché in questo modo tagliamo fuori una parte della nostra personalità e della nostra umanità, annullandola quasi attraverso uno schermo. Osservando i miei figli che chattano sempre con le loro fidanzatine, mi sono reso conto che non arrossiscono più, non tremano più, non abbassano più lo sguardo in preda alla timidezza. Tutto ciò avviene perché davanti non hanno una persona in carne e ossa, ma uno schermo. La timidezza è una risorsa per me importante e purtroppo sta scomparendo a causa di questo nuovo modo di comunicare. È una cosa su cui riflettere e anche tanto.


Vi ricordiamo che per sostenere il cinema italiano bisogna andare al cinema. Quindi, correte a vedere Perfetti Sconosciuti perché è un film che merita di essere visto per come riesca ad condensare in soli 97 minuti un numero così alto di risate e riflessioni profonde.
Luca Cardarelli.  


lunedì 8 febbraio 2016

THE HATEFUL EIGHT DI QUENTIN TARANTINO (Pericolo Spoiler)


È finalmente uscito l'ottavo, attesissimo film di Quentin Tarantino.
Aspettavo The Hateful Eight come un bambino aspetta la mattina di Natale per scartare i regali e, proprio per questo, mi sono limitato al massimo nel leggere le caterve di recensioni scritte da quei furboni che il film se lo sono visto in streaming, in barba a qualsiasi regola etica e/o cinefila.
Un film, questo, girato nel rarissimo e gloriosissimo formato Ultra Panavision 70mm e quindi da vedersi OBBLIGATORIAMENTE al cinema.
Io l'ho visto presso il cinema Arcadia di Melzo nella famigerata Sala Energia, una delle uniche tre sale Italiane a proiettarlo nel suddetto formato (le altre sono a Roma - Teatro 5 di Cinecittà e a Bologna - Cinema Lumiere). Purtroppo, se avessi voluto vederlo in Versione Originale, non avrei usufruito dei sottotitoli perché la pellicola di cui è in possesso il Cinema milanese ne è misteriosamente sprovvista e quindi sono stato obbligato a vederlo doppiato in italiano (che comunque... sputaci sopra...).


Già dall'ingresso in sala sono stato travolto da intensissime ondate di brividi, vuoi per le dimensioni ESAGERATE dello schermo (30 metri per 16,5), vuoi per l'enorme scritta THE HATEFUL EIGHT che ci campeggiava sopra e vuoi, infine, per la musica di sottofondo che ha accompagnato l'attesa del buio in sala e dell'inizio del film (il tema principale composto dal leggendario ENNIO MORRICONE, autore della colonna sonora). Il film si compone di sei capitoli, una Overture musicale di 4 minuti e due tempi separati da un intermezzo di 12 minuti.
Il Cinema si fa Teatro. Così vuole Quentin. E a noi così piace.
Con l'inizio della proiezione ha subito inizio il godimento audio-visivo che si sarebbe protratto per altre 3 ore e 8 minuti (tanto dura il film nella sua versione integrale). Già la scritta l'ottavo film di Quentin Tarantino seguita dal titolo The Hateful Eight in caratteri assolutamente non convenzionali per un film ambientato nel diciannovesimo secolo, degni quasi di un fumetto vintage anni '70, danno l'idea che quello che si sta per vedere non sarà un film come tutti gli altri, ma qualcosa di assolutamente unico e inimitabile, così come lo sono stati gli altri sette firmati dal nostro amato Quentin.


Dopo una sequenza iniziale caratterizzata da un'inquadratura di un crocifisso intagliato nel legno e ricoperto di neve, un sottofondo musicale degno di un incipit di un film di Hitchcock e la visione, sullo sfondo, di una diligenza che si fa largo tra le nevi (e già qui gongolavo per quanta poesia e quanta potenza audiovisiva emanasse tale scena), scorgiamo il primo degli otto personaggi che ci faranno compagnia per tutta la durata del film: l'ex Maggiore della Cavalleria Marquis Warren/Samuel L. Jackson, reinventatosi cacciatore di taglie dopo la fine della sanguinosa Guerra Civile Americana. Lo troviamo seduto su tre cadaveri accatastati l'uno sull'altro, in mezzo alla via di percorrenza, intento a bloccare la corsa della diligenza sulla quale viaggiano, oltre al cocchiere O.B./James Parks, John Ruth/Kurt Russell e Daisy Domergue/Jennifer Jason Leigh, rispettivamente un cacciatore di taglie soprannominato Il Boia e la sua Prigioniera, con destinazione Red Rock, città dove la donna avrebbe trovato la morte per impiccagione, mentre Warren e Ruth rispettivamente 8.000 e 10.000 dollari delle relative taglie.


Dopo un conciliabolo durato alcuni minuti, Warren riesce a convincere Ruth a farlo salire in carrozza. Lungo la strada, infine, la diligenza viene nuovamente fermata, questa volta da Chris Mannix/Walton Goggins, diretto anch'egli verso Red Rock, ma per prendere servizio in qualità di neosceriffo. Dopo una buona mezz'ora  di dialoghi scritti in una maniera che definire perfetta sarebbe riduttivo, che da un lato forniscono la caratterizzazione dei personaggi e dall'altro aiutano chi osserva (e ascolta) a farsi un'idea di quale strada prenderà l'intera struttura narrativa del film, ci si inizia a chiedere chi non sia ciò che dice di essere e a ipotizzare diverse soluzioni. Ma abbiamo conosciuto solo metà dei personaggi, quindi c'è ancora tempo.


Arrivati all'Emporio di Minnie, che funge da tappa intermedia nonché come rifugio dalla tormenta, i cinque viandanti vengono accolti dal Messicano Bob/Demian Bichir il quale li informa di essere stato incaricato di badare al locale durante l'assenza della padrona. Con lui, all'interno, troviamo il Generale Confederato Sandy Smithers/Bruce Dernil Mandriano Joe Gage/Michael Madsen e Il piccolo uomo Oswaldo Mobray/Tim Roth, tutti in attesa di proseguire il cammino verso le loro rispettive destinazioni. E qui comincia a farsi strada la sensazione che da un momento all'altro tutto possa degenerare, visto che è sempre più insistente il sospetto, prima nella testa di John Ruth e poi in quella di Marquis Warren, che qualcosa non quadri.


Intanto conosciamo sempre più a fondo sia i personaggi che hanno animato i primi 35 minuti di film all'interno della diligenza, sia quelli introdotti dopo l'arrivo all'emporio. Quindi si proseguirà fino alla conclusione del film tra quelle quattro mura e, tra musiche ansiogene, dialoghi serrati, sguardi enigmatici, diversi flashback e numerose e mirabolanti acrobazie registiche e narrative (immenso Quentin!!!) la tensione sale, sale, sale. Come nel più classico dei Gialli la soluzione dell'intreccio arriverà solo alla fine, dopo numerosi colpi di scena e  dopo svariate ipotesi che risulteranno sempre tutte sbagliate perchè solo l'autore della storia ha la chiave di tutto. In questo caso, Quentin Tarantino, da grandioso Maestro sceneggiatore qual è, ci somministra la soluzione a piccole, sudatissime dosi, a mo' di puzzle, riuscendo tuttavia a non risultare mai prolisso, noioso o stucchevole (non date ascolto a chi vi dirà il contrario). Tutti gli ingredienti all'interno di quel piatto prelibato che risponde al nome di The Hateful Eight sono necessari, anzi indispensabili, perché si arrivi alla comprensione ed alla conseguente soluzione del mistero.


Per quanto riguarda il cast, due figure sovrastano le altre, bucando violentissimamente lo schermo: Samuel L. Jackson, probabilmente al suo top dopo la magistrale prova fornita in Pulp Fiction, ma soprattutto Jennifer Jason Leigh, per la cui interpretazione della criminale Daisy non si trova veramente alcun epiteto che possa renderle giustizia. Un mostro di bravura, a un livello eccelso di espressività mimica e facciale che rasenta la perfezione.
Ma anche gli altri protagonisti non sono stati da meno: Tim Roth camaleontico come al suo solito, Michael Madsen e Bruce Dern, taciturni ma efficaci come non mai nei loro personaggi, Walton Goggins probabilmente nel ruolo della vita, Demien Bichir consolidato nelle sue abituali vesti da messicano con la faccia da schiaffi e un Kurt Russel che ha unito la sfrontatezza tutta Tarantiniana di Stuntman Mike (Grindhouse - Death Proof) alle Carpenteriane figure di Jena Plissken (1997: Fuga da New York) e R.J. MacReady (La Cosa), nonché alla stereotipata figura dell'uomo di legge tipico del western classico


Ciò che più mi ha lasciato a bocca aperta è stato il repentino cambio di registro e di ritmo circa a metà del film. Se nel primo tempo Tarantino si è preso tutto il tempo necessario per descriverci situazioni e personaggi, nel secondo cambia decisamente marcia per passare all'azione, in particolare durante l'ora finale. Il ritmo si fa forsennato assecondando un deciso cambio di stile sia a livello di regia che di rappresentazione scenica (diventa quasi un horror splatter con sfumature grottesche) ed è qui che l'esaltazione per ciò che stavo guardando si è fatta estrema e a stento sono riuscito a trattenermi dall'applaudire istericamente.
Se volessimo etichettare The Hateful Eight con un genere di appartenenza ci troveremmo in grandissima difficoltà. Nel film sono presenti infatti elementi Thriller/Horror (vedi La Cosa di John Carpenter, da cui lo stesso Tarantino ha dichiarato di aver attinto a piene mani), Commedia Nera che sfocia in quella Grottesca, ultraviolenza splatter (in caso contrario non sarebbe stato un film di Tarantino), il tutto su un magico e nostalgico sfondo Western Classico alla John Ford, mescolato alle trame dei Gialli di Agatha Christie e rimescolato ad una forte componente Noir tipica degli esordi dello stesso Regista  (due titoli a caso: Le Iene e Pulp Fiction), e, infine, un chiaro e forte messaggio politico (presente, del resto, anche in film come Inglourious Basterds e Django Unchained).
Film inoltre fotografato da Robert Richardson e musicato dal Maestro Ennio Morricone in maniera spettacolare ed esaltante. Se poi a questi uniamo regia e sceneggiatura firmate da Quentin Tarantino, potete capire anche voi che se si definisce The Hateful Eight un Capolavoro non si possa essere accusati di stare esagerando.


Per come la vedo io, chi ama veramente il cinema di Quentin Tarantino non può non apprezzare, anzi non può non amare The Hateful Eight. E aggiungo anche che non potrà non considerarlo come uno dei suoi lavori migliori, se non addirittura il migliore, perlomeno a partire dal 1997, anno in cui firmò Jackie Brown.
Un Pout-Pourri di generi letterari, teatrali e cinematografici che fanno di The Hateful Eight un gigantesco inno al cinema nonché al Tarantinismo nel quale ci piace sguazzare come dei fanciulli nell'azzurro mare di agosto.
Voto: 10 e lode, applausi da spellarsi le mani e inchino in segno di devozione ai piedi del Fottuto Genio di Knoxville.
Luca Cardarelli



sabato 6 febbraio 2016

LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT DI GABRIELE MAINETTI (NO SPOILER)


Attendevamo questo film da mesi, ovvero da quando ne sentimmo parlare in termini più che positivi in occasione della sua presentazione all'ultima edizione della Festa del Cinema di Roma. Dati i precedenti non esaltanti in campo supereroistico (non moltissimi, a dire il vero) speravamo ardentemente che Lo chiamavano Jeeg Robot potesse segnare un punto di svolta per quanto riguarda il cinema italiano in questo determinato ambito tematico. I pochi trailer messi a disposizione prima dell'uscita del film comunque già suggerivano un prodotto di qualità, così come i character poster pubblicati. 


Il film, ambientato nella selvaggia periferia romana, ci parla di Enzo Ceccotti/Claudio Santamaria,  un autentico signor nessuno che sopravvive compiendo piccoli furti e abita in un sudicio appartamento nel quartiere di Tor Bella Monaca. Un giorno, inseguito dalla Polizia, si trova costretto ad immergersi nel Tevere per sfuggirle. Fatalità vuole che nel punto della sua immersione ci fossero dei barili contenenti scorie radioattive. Dopo essere accidentalmente entrato in contatto con quelle sostanze, Enzo scoprirà di aver acquisito straordinari poteri che dapprima tenterà di sfruttare per trarne vantaggio personale, ma poi userà, anche su invito di Alessia/Ilenia Pastorelli, per combattere le forze del male, personificate in questo caso dallo Zingaro/Luca Marinelli e la sua gang di malviventi.  


A primo impatto Lo Chiamavano Jeeg Robot può sembrare uno scimmiottamento dei classici Cinecomics americani, ma in realtà è molto di più. L'ispirazione, così come lo schema narrativo chiaramente sono quelli, visti i numerosi richiami a saghe come quella del Cavaliere Oscuro di Nolan o dello Spiderman di Raimi. Ma al tutto viene dato un alone di autorialità tutta italiana, e allora ci vengono in mente i vari Brutti sporchi e cattivi di Scola, Non essere cattivo di Caligari (altro film in cui compare Luca Marinelli) e molte altre pellicole che hanno dipinto l'Italia delle Periferie donandoci un cinema crudo, violento e spesso cinico. 


Un miscuglio di generi per un film assolutamente nuovo che colpisce duro andando sempre a segno, forte di una sceneggiatura e di una regia caratterizzate da un'estrema pulizia e quasi totalmente prive di arzigogoli stilistici e narrativi, tanto da renderne estremamente piacevole la visione. Un film pressoché unico nel suo genere all'interno panorama cinematografico italiano, sia autoriale che commerciale. 


I protagonisti, Claudio Santamaria e Ilenia Pastorelli (quest'ultima esordiente dopo la sua partecipazione al Grande Fratello) hanno offerto delle prove molto convincenti, tanto da farci affezionare ai loro rispettivi personaggi caratterizzati da un background profondamente drammatico, ma è Luca Marinelli a bucare completamente lo schermo con la sua istrionica interpretazione di un Villain tanto pazzo quanto sadico e malvagio, che moltissimi (anche chi vi scrive) hanno subito associato al Joker interpretato dall'indimenticato e indimenticabile Heath Ledger in The Dark Knight
Molto apprezzate risultano inoltre le incursioni di alcuni personaggi provenienti dal mondo delle serie Tv (anch'esse italiane).
Sperando che questo sia solo il primo di tanti episodi della prima saga supereroistica a tinte tricolore,
consideriamo Lo chiamavano Jeeg Robot un film da vedere e da appaludire dalla prima all'ultima scena. Innovativo. Sorprendente. Esplosivo.
Uscita prevista per il 25 febbraio. 
Voto: 9/10



PERFETTI SCONOSCIUTI DI PAOLO GENOVESE


Tema di scottante attualità per il nuovo film del regista romano Paolo Genovese, secondo il quale ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata e una segreta. É proprio su quest'ultima che si sofferma Perfetti Sconosciuti, film ambientato quasi completamente in una casa durante una cena tra amici (parole non casuali, vista la similitudine di questa pellicola a quella di Alexandre De La Patelliere - titolo originale Le Prénom), durante la quale i protagonisti decidono di lasciare i propri smartphones e telefonini sul tavolo e permettere ai commensali la lettura di tutti messaggi e l'ascolto in vivavoce di tutte le telefonate durante la cena. Senza eccezioni. Tutti giocano a carte scoperte. L'apertura del Vaso di Pandora fece molti meno danni.


Vediamo come coppie apparentemente solidissime rischino di sgretolarsi al semplice trillio di uno smartphone, per una notifica di facebook o un messaggio di whatsapp. Mogli strasicure della fedeltà dei mariti (e viceversa) vedranno cadere ogni loro certezza sprofondando in un oceano di domande, rimpianti, ripensamenti e illuminazioni su determinati comportamenti dei rispettivi partners. Vediamo mettere in forse anche rapporti ultraventennali d'amicizia a causa di segreti mai rivelati.


Il cast per questo film è risultato veramente brillante: abbiamo Valerio Mastandrea/Lele e Anna Foglietta/Carlotta, Edoardo Leo/Cosimo e Alba Rohrwacher/Bianca, Marco Giallini/Rocco e Kasia Smutniak/Eva, e Giuseppe Battiston/Peppe (l'unico non accoppiato della cena) ad animare la festa in maniera perfetta, aiutati da una sceneggiatura più che pimpante e una regia curata nei minimi particolari che rende la visione di questo film da circa 100 minuti estremamente piacevole oltre che molto scorrevole.


Non ci sono assolutamente cali di ritmo né di tensione perché esistono sempre dei dettagli in ogni situazione che fanno sì che lo spettatore rimanga incollato allo schermo in attesa di continui colpi di scena (alcuni immaginabili, altri veramente sorprendenti) che puntualmente arrivano e, talvolta, rimescolano le carte relativamente all'idea e all'immagine che lo spettatore si fosse costruito riguardo a questo o a quel personaggio. Le battute in romanesco non sono per niente invadenti, anzi servono a far distendere i nervi allo spettatore tra una discussione e l'altra.


Un film, Perfetti Sconosciuti che fa dell'ambiguità e della falsità all'interno della coppia (e non solo)  il suo punto cardine e l'espediente dello smartphone usato come scatola nera della vita delle persone è un qualcosa di geniale e spaventoso allo stesso tempo, che fa riflettere su quanto queste diavolerie elettroniche e i vari social network siano invadenti e pericolosi, sia in generale, che nella vita di coppia. Un film che parte come commedia ma si trasforma ben presto in un dramma che tocca svariati argomenti, quali l'accettazione di se stessi e del prossimo, i pregiudizi su determinate categorie di persone e la gestione della res familiare sia in privato che in pubblico. Tutti argomenti sviluppati approfonditamente sebbene la durata del film sembrerebbe non consentirlo. Quindi onore al merito del regista e degli sceneggiatori.


Vorremmo rivelarvi anche quale sia, secondo noi, il punto debole del film, ma rischieremmo di farvi uno spoiler gigante anche solo accennandovi in che ambito tematico sia collocato, quindi ve lo risparmiamo, anche perché, tutto sommato, non si tratta di qualcosa che metta in pericolo la bontà e l'interesse del film stesso.
Il film uscirà nelle sale l'11 febbraio e vi consigliamo caldamente di andare a vederlo.
Voto: 8/10
Luca Cardarelli


giovedì 4 febbraio 2016

PPZ - PRIDE + PREJUDICE + ZOMBIES (Orgoglio e Pregiudizio e Zombie) DI BURR STEERS



Abbiamo visto in anteprima questo Film diretto da Burr Steers, ovvero il Frangettone morto male per mano di Jules Winnfield in Pulp Fiction, tratto dall'omonimo romanzo fan-fictionesco (passatemi il termine), nonché Best-Seller, scritto da Seth Grahame-Smith, nel quale alle vicende familiari e sentimentali delle Sorelle Bennet, già ottimamente descritte da Jane Austen in Orgoglio e Pregiudizio, diventato anch'esso un film nel 1940 per mano di Robert Z. Leonard con Laurence Olivier e riproposto nel 2005 da Joe Wright con Keira Knightley e Rosamund Pike, si aggiunge, inspiegabilmente, una pandemia virulenta che affolla l'Inghilterra e il Mondo di morti viventi. 


Non avendo letto il romanzo di Grahame-Smith non possiamo affermare se trattasi di boiata o meno, ma il film, purtroppo, l'abbiamo visto. 
Partiamo dal presupposto che non è che ci aspettassimo chissà quale capolavoro Trash-Horror-Splatter alla Romero (o, scendendo di svariati gradini, alla Zack Snyder). 
D'altra parte cosa aspettarsi dal regista di 17 again (con Zack Efron), nonché sceneggiatore di Come farsi lasciare in 10 giorni con la coppia Hudson-McConaughey
Il film è un normalissimo, per non dire mediocre, film in costume e poi ci sono gli Zombies. Totalmente slegati dalla trama tanto da sembrare che abbiano incollato scene a caso di morti che camminano ad una pellicola preesistente. La storia è inconsistente (fatta eccezione per le vicende sentimentali, che di sicuro non avevano bisogno di essere riscritte da chicchessia, data la grandezza della Scrittrice Originale), gli attori sono "bellini e bravini" (Lily James/Elizabeth Bennet, Sam Riley/Mr Darcy e Douglas Booth/Mr Bingley), e gli Zombies inutili. 


Speravamo almeno in un po' di Humor, ma anche da quel punto di vista siamo stati delusi amaramente, fatta salva la ridicolaggine di Matt Smith/Mr Collins
Il film si trascina faticosamente lungo le quasi due ore di durata e, uscendo dal cinema, la domanda PERCHÉ? regnava sovrana nelle nostre menti. 
Ma c'è sempre di peggio, ad esempio la saga di TWILIGHT
Va comunque detto che questo film potrebbe piacere moltissimo ad un pubblico composto da adolescenti in piena tempesta ormonale. Magari (si spera) servirà anche a spingerli a recuperare il classico di Jane Austen. 
Sempre che ne siano a conoscenza.


Uscita prevista per il 4 febbraio (cioè oggi). 
Voto 5/10 (i costumi - e chi li indossava - erano di ottima fattura, così come il Make up).
Luca Cardarelli