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martedì 31 marzo 2015

FAST AND FURIOUS 7 DI JAMES WAN


C'erano una volta un poliziotto infiltrato (Brian O'Conner/Paul Walker) e una banda di corridori clandestini (capitanati da Dominic Toretto/Vin Diesel) tutti macchine, motori e belle donne. Il loro obiettivo era quello di vincere le Race Wars in mezzo al deserto, aggiudicandosi il maggior numero di libretti di circolazione possibili. 
Dopo 15 anni il poliziotto infiltrato O'Conner è uno dei capetti della suddetta banda insieme a Dom Toretto, e l'obiettivo principale non è più lasciare a piedi gli avversari nelle suddette corse clandestine, ma vendicare (e pure qualcosina di più), la morte di compagni salutati precocemente durante la saga più tamarra che il cinema abbia mai conosciuto: FAST AND FURIOUS.


Dopo aver seguito le evoluzioni di Toretto e soci in giro per America, Giappone, Brasile e Gran Bretagna, il carrozzone guidato per l'occasione da James Wan (al suo esordio in un film dall'ossatura action, proveniente dal mondo Horror/Splatter - Saw e Insidious 1 e 2, tra gli altri) approda in Medio Oriente. Abbiamo Jason Statham che interpreta Deckard Shaw, fratello del defunto, nel sesto episodio della saga, Owen Shaw. Deckard, abilissimo nelle arti marziali e nel maneggiare ogni tipo di arma, dalla chiave inglese al Bazooka si mette sulle tracce di Dom Toretto e della "Famiglia" per vendicare la morte del caro fratello. Ma a sua volta Toretto, venuto a sapere che il caro vecchio Han (Sung Kang) è stato ammazzato dallo stesso Deckard Shaw, brama di vendicarsi a modo. Nel frattempo Hobbs (Dwayne Johnson), che è il primo a "conoscere" i pugni, i calci e le bombe a mano di Shaw, raduna i ragazzi, o meglio, li fa radunare per mano del fidato amico Frank Petty, un Kurt Russell in giacca e cravatta ma con l'anima da Stuntman Mike di Tarantiniana memoria.


Obiettivi: catturare Shaw e recuperare "L'occhio di Dio", un sofisticato software capace di crackare qualsiasi dispositivo (dalle telecamere a circuito chiuso alle fotocamere dei cellulari) per scovare i ricercati in qualsiasi parte del mondo essi si trovino. Inizia così un turbillon di inseguimenti, sparatorie, acrobazie e chi più ne ha più ne metta, che porta la banda in quel di Abu Dhabi dove succede qualsiasi cosa (se avete visto il trailer avrete già capito).


Spogliatevi di ogni possibile incredulità, toglietevi dalla faccia quel sorrisetto sarcastico proprio di chi pensa "puah, cinema di quart'ordine", sedetevi sulla poltrona del cinema, con una quintalata di popcorn e una litrata di Cocacola (il film durerà 2 ore e 20, ma fidatevi, non ve ne accorgerete) e sgranate gli occhi a più non posso gustandovi le sequenze più surreali ed esagerate che abbiate mai visto in un film dove i protagonisti sono tutti dei guidatori spericolati e per di più con le mani non le mandano a dire. Se a tutto questo aggiungete esplosioni degne dei film fracassoni alla Michel Bay, quello che otterrete è un film che chiede solo di essere guardato come un treno che passa viene visto da un bambino per la prima volta in vita sua.


L'adrenalina la fa da padrone, Gli ammiccamenti al cinema da "Grindhouse" sono numerosissimi: in particolare c'è la lunghissima sequenza dell'inseguimento tra le macchine della squadra di Toretto e O'Conner planate dal cielo (WTF grosso come una casa) e il pullman corazzato e armato come fosse un galeone dei pirati in cui viene citato evidentissimamente Grindhouse-Death Proof (per la gioia di chi scrive). Le evoluzioni che si ammirano nel trailer che circola già da un po' di tempo in rete e su tutte le reti televisive sono solo una piccola parte di quelle che ammirerete durante i 140 minuti di proiezione, e, volo tra un grattacielo e l'altro di Toretto e pulman in versione tapis roulant sotto i piedi di O'Conner a parte, ce ne sono moltissime altre che faranno gridare e ridere allo stesso tempo per quanto sono (volutamente) surreali ed esageratamente esagerate. Da questo punto di vista il film può benissimo essere considerato, oltre al migliore dell'intera saga, un vero e proprio capolavoro di quella categoria film che ci prendiamo l'onere e l'onore di coniare col termine di "WTFable" che mischia la natura "favolistica" delle vicende narrate all'esclamazione che chi scrive avrà urlato (silenziosamente) almeno una ventina di volte durante la proiezione.


Niente da dire nemmeno sul frenetico montaggio al servizio del fiume in piena rappresentato dagli eventi narrati, assecondato alla perfezione da una colonna sonora tutta Rap e musica elettronica che si alterna nei punti giusti con temi "suspance" degni dei classici film thriller action.
C'è anche spazio per la lacrimuccia, nei 10 minuti finali, grazie a parole e immagini tutte dedicate come, del resto, tutto il film, alla memoria di Paul Walker che ci ha tragicamente lasciati nel novembre 2013.
Toretto non vivrà più la vita un quarto di miglio alla volta, ma le sue gesta, come quelle di tutto il cast, divertono sempre di più gli appassionati, invogliando a seguirle anche chi di macchine e tamarrate non ha mai voluto saperne nulla, grazie all'ottimo mix tra corse e action operato da James Wan, preceduto in parte dal collega Justin Lin, che ha diretto ben quattro dei sei precedenti capitoli di questa divertente saga.
Correre o morire. 
Dal 2 aprile nei cinema.
Voto: 8/10.
Luca Cardarelli


  




lunedì 30 marzo 2015

A SECOND CHANCE DI SUSANNE BIER


Ci sono film che fanno male, sia a livello emotivo che, quasi, fisico. "A Second Chance" della regista danese già vincitrice di un Oscar al miglior film straniero nel 2011 per "In un Mondo migliore", Susanne Bier, è uno di questi.  
Al centro della vicenda due coppie di genitori: la prima, formata da Andreas e Anne (rispettivamente Nicolaj Coster-Waldau e Maria Bonnevie), che vivono bene, in una bella casa, lui poliziotto, lei casalinga, con il figlio neonato Alex. La seconda, formata da Tristan e Sanne (rispettivamente Nikolaj Lie Kaas e Lykke May Andersen), due tossici (ma di quelli pesanti) che vivono nella sporcizia e nel disagio, perennemente fatti di eroina, in un quartieraccio, con il figlio, anch'egli neonato, Sofus. Andreas conosce Tristan per averlo arrestato diverse volte. Tristan è solito picchiare Sanne, oltre che forzarla a drogarsi con lui. 
La tragedia avviene quando il piccolo Alex muore e ad Andreas viene la malsana idea di sostituirlo con Sofus, all'insaputa della moglie, infilandosi di nascosto in casa dei due tossici che, difatti, non si accorgono nè del rapimento nè della sostituzione. Pensano che Sofus sia morto. 
Nei piani di Andreas il delitto perfetto, ma a fin di bene, si sarebbe compiuto con l'arresto e la condanna di Tristan per maltrattamenti a moglie e figlio. Ma non tutto va come previsto, anzi assistiamo ad una catena di eventi tragici che porteranno la drammaticità della storia a livelli ancora più elevati.
L'atmosfera è cupa, il cielo grigio, i dialoghi al limite dell'isterismo, gli avvenimenti narrati fanno accapponare la pelle. Alcune scene, al pari delle situazioni che si vanno a creare, provocano addirittura conati di vomito. In confronto a questo film, "Trainspotting" e "The Broken Circle Breakdown (Alabama Monroe)" sono favole per bambini. 
Un film molto crudo che pone su uno sfondo sociale un indecifrabile psicodramma a tinte thriller che terrà incollati alla sedia fino alla fine e farà tirare un sospiro di sollievo con lo scorrere dei titoli di coda, non tanto per come finisce la storia, ma perchè, proprio, finisce. 
Pugno nello stomaco, ma non per questo sconsigliato, anzi.
Voto: 7,5/10.
Nei cinema dal 2 aprile.
Luca Cardarelli.



martedì 24 marzo 2015

LA FAMIGLIA BELIER DI ERIC LARTIGAU


A prima vista "La Famiglia Belier" sembra un innocuo e leggero filmetto francese, di quelli che si lasciano vedere e poi passano direttamente in quel lungo e buio corridoio della mente chiamato dimenticatoio: niente di più sbagliato.
"La Famiglia Belier", che ricorda vagamente nello stile "il Tempo delle mele" o, se vogliamo citare film un po' più recenti, "Little Miss Sunshine", ci parla della quattordicenne Paula, cresciuta in una famiglia contadina composta da papà, mamma e fratello tutti e tre sordomuti. Paula, essendo l'unica a parlare e sentire, è abituata a fare da intermediario tra i suoi e il mondo esterno. Riesce comunque a vivere una vita quasi normale andando a scuola, frequentando la sua migliore amica Mathilde e prendendosi una cotta per il belloccio e un po' tenebroso Gabriel, per il quale deciderà di iscriversi ad un corso di canto in cui scoprirà di avere una voce magnifica e che, grazie anche all'insistenza dell'insegnante di canto Fabien, le cambierà la vita.


Ci piace tornare ogni tanto a quell'età in cui il cuore batteva all'impazzata ed all'improvviso ci si catapultava in un mondo tutto nostro e che solo noi, pensavamo, potessimo capire fino in fondo. Ecco, La Famiglia Belier riesce a teletrasportarci vent'anni indietro, presentandoci però una ragazzina che conduce due vite in una: da adolescente (con quello che ne consegue) e da adulta (idem). Questo è un ottimo film "di formazione" che prende in esame quel periodo in cui si fanno le prime scelte "campali" e in cui si passa dall'essere bambini all'essere "quasi adulti", e cioè adolescenti. Ancora nè carne nè pesce, ma comunque più grandi e consapevoli della vita.


Tra gags che strappano più di un sorriso e scene più che commoventi, La Famiglia Belier intrattiene ma allo stesso tempo fa riflettere sulla condizione "particolare" di una ragazzina che contemporaneamente supporta e manda avanti un'altrettanto particolare famiglia ma vuole però anche vivere una tranquilla adolescenza senza questo peso sulle spalle. Peso che, volente o nolente, c'è e si fa sentire, soprattutto nel momento in cui questa ragazzina solare e piena di grinta decide che è il momento di cambiare. Un cambiamento che coinvolge tutti i componenti della Famiglia Belier, non solo Paula.


E bisogna giungere, come è prassi comune, a dei compromessi, anche se il modo per raggiungerli non è esattamente tra i più convenzionali, ma sicuramente risulta il più efficace di tutti.
Un film "primaverile", in senso lato. Sboccia la vita in primavera. E sboccerà anche Paula. E allo spettatore, anche al più "cuore di pietra" di tutti, scapperà più di una lacrimuccia sul finale.
Sorprendente.
Voto 7,5.
Nei cinema dal 26 marzo.



martedì 17 marzo 2015

UNA NUOVA AMICA DI FRANCOIS OZON



                           

Avevamo salutato da un annetto il provocatorio "Giovane e bella", la storia di una giovanissima Squillo francese, e ora accogliamo a braccia aperte questo nuovo lavoro dell'altrettanto provocatorio regista Parigino "Una nuova amica" che, in fatto di scene piccanti e temi scottanti, dà almeno quattro o cinque piste al film che è sulla bocca di tutti in questo momento: "50 sfumature di Grigio".


"Una nuova amica" ha un inizio che lascia basiti: una giovane e bellissima donna, vestita da sposa, esanime, ripresa dall'alto prima che la bara nella quale passerà l'eternità venga chiusa e sepolta "six feet under" (come non pensare all'omonima, grande serie TV, vedendo questa scena?). Si tratta Laura (un'algida ed eterea Isild Le Besco), che lascia marito (Romain Duris, sì, lui, quello de "L'appartamento spagnolo") e figlia di nemmeno un anno. Oltre a coniuge e prole, lascia anche Claire (Anaïs Demoustier), la sua migliore amica sin dai tempi delle scuole elementari, alla quale era rimasta sempre legata a doppio, se non triplo filo (ai limiti dell'omosessualità, quasi).


Il film entra nel vivo quando Claire scopre, andandolo a trovare per verificarne le condizioni psicologiche, che David, in casa, gira completamente vestito da donna, con tanto di trucco e parrucca bionda. Claire inizierà a frequentare David di nascosto dal marito Gilles (Raphael Personnaz), al quale racconterà di aver ritrovato una sua vecchia compagna di liceo, Virginia, che da lì in poi sarà il nome femminile del povero vedovo. Da lì in poi la storia si evolve in un intreccio fitto fatto di ammiccamenti, sguardi equivoci, dialoghi a metà strada tra il comico e il drammatico, scene semiorgiastiche, pregiudizi e colpi di scena degni di un Thriller Hitchcockiano (le musiche della colonna sonora spingono molto in quella direzione).


Ozon confeziona un film, coraggioso oltre (quasi) il consentito, tratto da una novella di Ruth Rendell, con un velato rimando anche a "Moonlight Shadow" di Banana Yoshimoto, racconto poi incorporato nel famosissimo romanzo "Kitchen". Temi come l'omosessualità, l'amicizia che è quasi amore tra due donne e poi tra un travestito e una donna (quasi a comporre un eccentrico triangolo), non potevano trovare nel regista francese Francois Ozon miglior "narratore", ma, già come successe per "Giovane e bella", il cineasta ha voluto esagerare col sottolineare la sua idea in merito a questi temi, andando a naufragare in un finale a dir poco tragicomico, quasi farsesco,  ai limiti della fantascienza, che fa crollare quanto di buono o, consentiteci, eccellente, si era visto nella prima ora e venti minuti di pellicola, in cui si apprezzano scene ed immagini così poetiche da lasciare esterrefatti, con una bella alternanza di momenti cupi e momenti di ilarità, degni una storia come quella narrata. Un capolavoro a metà che per cui gli applausi si smorzano ancor prima di iniziare a scrosciare. Peccato.
Nei cinema dal 19 marzo.
Voto 5/10.
Luca Cardarelli.