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mercoledì 18 settembre 2019

ONCE UPON A TIME IN... HOLLYWOOD (2019) DI QUENTIN TARANTINO


Dopo circa quattro anni dalla sua ultima fatica (The hateful eight, 2015) Quentin Tarantino si è finalmente rimesso dietro la sua amata macchina da presa per continuare il suo viaggio attraverso i generi e le epoche del cinema. 


Siamo infatti passati attraverso i gangster movie, kung fu movie, exploitation, blaxploitation, western, guerra, horror e chi più ne ha più ne metta. Per il suo ultimo (capo)lavoro, Quentin Tarantino confeziona un film che i più potrebbero definire atipico. Infatti Once upon a time...In Hollywood è un tributo che Tarantino fa a quel cinema che lo rese, intellettualmente e, in seguito, cinematograficamente, quello che è oggi. Nello stesso momento dimostra amore profondo verso le storie, i personaggi e le ambientazioni proprie della Hollywood sul finire degli anni '60, mantenendo sempre, però, lo sguardo alla realtà, alla cultura e agli avvenimenti di quel periodo. Il film praticamente ruota attorno a due soli personaggi: Rick Dalton (Leonardo Di Caprio) e Cliff Booth (Brad Pitt), rispettivamente un attore ormai sul viale del tramonto e la sua controfigura con cui ha stretto un rapporto amichevole, quasi fraterno. 


Sullo sfondo, l'America del 1969 sulla quale aleggia come uno spettro la figura di Charles Manson, la cui famigerata family sporcherà di sangue le pagine dei quotidiani di tutto il mondo e la vita senza pensieri di Sharon Tate (Margot Robbie), nei giorni che precedettero la sua prematura scomparsa. Pur non avendo una vera e propria trama, o meglio, data la non canonicità della stessa, Once Upon a time in... Hollywood riesce a non stancare mai, e questo grazie alla maestosità del duo di attori protagonisti, una colonna sonora come al solito leggendaria, ma soprattutto grazie al tocco magico e geniale di Tarantino che sembra non riuscire a sbagliare un'inquadratura neanche a volerlo, e, con i suoi dialoghi sempre frizzanti e coloriti, riuscirebbe a rendere interessante anche la lista della spesa. In 2 ore e 40 minuti di film Tarantino è riuscito a condensare tutto ciò che lo esaltava quando era un semplice commesso di videoteca, ma lo ha fatto con una maestria e una padronanza dei mezzi assolutamente senza eguali. Queste considerazioni sono maturate piano piano nei giorni successivi alla visione del film, insieme alla voglia di rivederlo una seconda e, perché no, anche una terza volta sempre al cinema, anche con l'intenzione di ampliare la sua analisi con una recensione successiva, un po' più spoilerosa di questa che, alla fine, è solo la mia opinione messa nero su bianco.


Posso solo chiudere con un consiglio, un ordine e un'ultima considerazione da impartirvi:
Il consiglio è di guardare il film possibilmente in lingua originale per godere appieno di ogni suo aspetto.
L'ordine è di rimanere seduti, inchiodati alla poltrona, durante i titoli di coda. 
La considerazione è che questo film po56ttrebbe non piacere a tutti, nel senso che probabilmente il pubblico occasionale, attirato alla visione del film dai nomi altisonanti del cast e un trailer accattivante, potrebbe trovare Once upon a time in... Hollywood leggermente noioso e insignificante, soprattutto se si pone davanti al film con l'idea di stare per vedere un film alla Pulp Fiction. 

Invece l'altra metà di pubblico, composta da cinefili duri e puri e fan tarantiniani d.o.c., si innamorerà di ogni sua singola sequenza, bramando una doppia, tripla, quadrupla visione al cinema, recependo l'atto d'amore (non volevo usarla questa espressione, ma non saprei come altro definire questo film) che è questo film verso il cinema stesso e verso chi il cinema, e in particolare quello di cui Tarantino si è fatto massimo latore, lo ama incondizionatamente. 
Per ora mi esimo dal dare voti numerici alla pellicola, ma sappiate che solo a pensare di riguardarlo, mi batte forte il cuore. 
Luca Cardarelli


domenica 8 settembre 2019

TRILOGIA THE HANGOVER (UNA NOTTE DA LEONI) DI TODD PHILLIPS


In occasione del compimento dei 10 anni del film "Una notte da leoni", che inaugurò la fortunata omonima trilogia, diretto e co-prodotto da Todd Phillips, mi cimenterò nell'esporre una mia personale analisi di tutti e tre gli episodi, prendendo in esame trame, personaggi e aspetti tecnici di ognuno di essi. Affronterò questo cammino sia per quanto sopra riportato, ovvero il decimo compleanno del primo episodio, sia per approfittare del momento, visto che Todd Phillips è reduce dall'incredibile successo di critica e pubblico riportato a Venezia grazie al suo ultimo lavoro, Joker, con Joaquin Phoenix. Prima di addentrarci nelle avventure del Wolfpack (in Italia tradotto con "i Leoni"), è bene sottolineare come Todd Phillips, prima di The Hangover, avesse diretto solo documentari musicali o di stretta attualità, e tre lungometraggi comici come "Road Trip" (2000) "Old School" (2003) e "Starsky & Hutch" (2004).


Il regista Newyorkese ritorna dopo cinque anni di pausa dietro la macchina da presa per dirigere, su soggetto e sceneggiatura scritti da Jon Lucas e Scott More (già sceneggiatori di "14 anni vergine" e "La rivolta delle ex"), il quartetto formato da Bradley Cooper (Phil), Ed Helms (Stu), Justin Bartha (Doug) e Zack Galifianakis (Alan), ignaro che il film che stava per girare sarebbe diventato un cult come pochi altri e soprattutto il primo capitolo di una trilogia comica con pochi eguali nella storia, sia a livello di comicità in sé, sia a livello di incassi. 


L'idea di base, ovvero l'addio al celibato, sebbene non fosse tra le più originali, venne elaborata talmente bene e in maniera talmente geniale, da rendere il film accattivante e pieno di colpi di scena dall'inizio alla fine. Una notte da Leoni racconta le disavventure dei quattro leoni sopra menzionati che, in occasione dell'addio al celibato di Doug, sotto l'effetto di alcol e rufilin (la droga dello stupro), mettono a ferro e fuoco Las Vegas, scontrandosi con spacciatori, criminali internazionali, spogliarelliste, un sequestro di persona e persino Mike Tyson, incredibile guest star che ritroveremo anche nel secondo episodio, per poi dimenticarsi tutto al risveglio in Hotel. E il film si sviluppa proprio in funzione del tentativo dei protagonisti di ricostruire i fatti che li hanno portati a svegliarsi in una suite costosissima del Caesar Palace completamente devastata, con un neonato nello sgabuzzino, una tigre enorme nel bagno e Doug, lo sposo, scomparso nel nulla. Phil, Stu e Alan, personaggio al quale vanno attribuite le maggiori responsabilità su quanto accaduto, gireranno per Las Vegas scoprendo cose raccapriccianti, tra Ospedali, commissariati di polizia e cappelle per matrimoni improvvisati. Inoltre faranno la conoscenza di Mr. Chow (Ken Jeong) (altra calamità umana). 


Ma se quello che si vede nel primo episodio può essere già definito assurdo, ancora più assurdo sarà quello che vedremo nel secondo episodio, datato 2011. Stavolta abbiamo Stu che, interrotta la releazione con la a dir poco dispotica Melissa (Rachel Harris), è in procinto di sposarsi in Thailandia con Lauren (Jamie Chung) figlia del quotatissimo chirurgo Fong (Nirut Sirichanya) il quale non vede di buon occhio il futuro genero, considerandolo un mediocre (e il fatto che sia un dentista acuisce il disprezzo nei suoi confronti). Di addii al celibato Stu non en vuole sapere, dato che durante l'ultimo a cui aveva partecipato si era trovato senza un dente e sposato con una spogliarellista di Las Vegas e per di più drogato a sua insaputa. Quindi si limita a invitare Phil e Doug (a proposito, poi l'avevano ritrovato e il matrimonio con Tracy non saltò, per fortuna) al matrimonio, precisando di non aver invitato Alan per i motivi sopra elencati. Ma Tracy spinge il marito Doug a convincere Stu a invitarlo, ricomponendo nuovamente il Wolfpack.


Continente diverso, ma situazione identica: dopo una bella cena organizzata dalla famiglia della sposa la sera di vigilia del matrimonio, i quattro leoni, con l'aggiunta di Teddy (Mason Lee), il fratello di Lauren, studente modello a Stanford e violoncellista in erba (il cocco di papà, insomma), unitosi ai quattro per il viaggio dall'America, si radunano sulla spiaggia per un falò a base di birre (ancora sigillate, per far star tranquillo Stu) e marshmallows. Il risveglio sarà ancora più traumatico di quello di Las Vegas: Bangkok, camera di Hotel lercia, afa incredibile, una scimmietta che zompetta ovunque, Phil, Alan e Stu rintronatissimi. Stu si risveglia con il tatuaggio di Mike Tyson in faccia, viene trovato un dito di Teddy in un bicchiere, Teddy ovviamente non è in stanza con i tre (Doug è tranquillo a bordo piscina della location del matrimonio a fare colazione) e, dopo poco scopriranno che con loro vi è anche Mr. Chow che, contattato da Alan nottetempo li aveva raggiunti in motoscafo e portati a Bangkock e che, di lì a poco, andrà in arresto cardiaco per una "botta" di cocaina andatagli di traverso. 


Creduto morto, Chow verrà sistemato nella macchina del ghiaccio all'ultimo piano del fatiscente palazzo. Troviamo, dunque, ancora Phil, Stu e Alan alla ricerca di una persona scomparsa, Teddy, con la memoria totalmente cancellata su quanto accaduto durante la notte appena trascorsa (dapprima Alan negherà, ma poi ammetterà di aver "manomesso" i marshmallows, con l'intento di far sballare Teddy, colpevole, a suo dire, di essersi messo al centro dell'attenzione, oscurando così la sua figura di "mascotte" incontrastata fino ad allora. Le cose che scopriranno durante la giornata saranno talmente sconvolgenti da far pensare che su di loro qualcuno abbia scagliato una maledizione. Infatti avranno a che fare con un monaco buddista totalmente muto per via del suo voto di silenzio, una spogliarellista transgender (Stu, allora è un vizio!!!), un venditore di armi, un'organizzazione internazionale dedita al traffico di droga (e per poco Phil non ci lascia le penne) e, ovviamente, un agente dell'Interpol, Mr. Kingsley (Paul Giamatti) il quale agisce sotto le mentite spoglie di un narcotrafficante internazionale. 


Infine, nel terzo episodio, non si parla di addii al celibato o matrimoni imminenti, ma assistiamo alle conseguenze delle azioni del Wolfpack compiute (o subite) nei primi due capitoli e alla chiusura della trilogia. Ovviamente il tutto non può che cominciare con l'ennesima "marachella" di Alan che costa la vita ad una povera giraffa e finisce addirittura sui giornali a causa di un megaincidente causato in autostrada e, come se non bastasse, durante la sfuriata casalinga, Sid, il papà del combinaguai, viene colto da un attacco di cuore e passa a miglior vita. La misura è colma, ormai, e i genitori, di comune accordo con amici e conoscenti, decidono di spedire Alan, affetto da gravi problemi mentali, in una struttura riabilitativa in Arizona. Ovviamente dovranno portarcelo tutti e tre, Phil, Stu e Doug, per rendergli più appetitoso il boccone amaro che sta per ingerire. Durante il viaggio i quattro vengono intercettati da dei criminali mascherati, speronati e dirottati in mezzo al deserto, dove ad attenderli trovano Marshall, un gangster al quale Chow (sì, sempre lui) rubò ai tempi delle vicende di Las Vegas lingotti d'oro per un valore di 21 milioni di dollari. A quel punto Marshall, non sapendo come fare per rintracciare Chow, latitante dopo essere evaso da una prigione Thailandese, non ha trovato di meglio che rintracciare colui che si era sempre tenuto in contatto, all'insaputa di chiunque, col criminale cinese, ovvero Alan (eccolo, un altro guaio). Marshall ordina a Phil, Stu e Alan di recuperare Chow e l'oro trafugato e si prende come pegno Doug. Anche in questa occasione ne vedremo delle belle.


Dopo aver esposto in maniera più o meno approfondita le trame dei tre singoli capitoli, passiamo ad analizzare globalmente la trilogia che presenta tre parti caratterizzate da analoga struttura narrativa, per intenderci, come potemmo notare in altre trilogie, una su tutte quella di ritorno al futuro che, addirittura, presentava tre storie praticamente identiche, solo ambientate in tre epoche diverse. In The Hangover di diverso abbiamo le ambientazioni (Las Vegas, Bangkok, Tijuana), ma gli eventi che si susseguono sono praticamente sempre gli stessi. Certo, mentre i primi due capitoli prendono piede dal fatto che uno dei personaggi è sul punto di sposarsi, il terzo appare un po' come un pesce fuor d'acqua, in quanto di matrimoni non vi è traccia, tantomeno di addii al celibato, ma è comunque collegato ai film precedenti per via della sceneggiatura che li unisce sotto l'aspetto causa/effetto, fungendo da "chiusura del cerchio" e concludendo in maniera ottimale la trilogia. 


La saga unisce perfettamente comicità, azione e suspence risultando in questo modo accattivante e assolutamente priva di punti morti, con un susseguirsi ossessivo di avvenimenti che non permettono mai allo spettatore di staccare gli occhi dallo schermo. I colpi di scena sono sempre dietro l'angolo e quando la situazione sembra ormai risolta ecco che arriva un evento, un personaggio, una svolta di trama assolutamente inaspettati. 


I personaggi, sono scritti benissimo e la loro psicologia viene indagata sempre più approfonditamente lungo l'intera saga. Ma i due personaggi attorno ai quali ruotano tutte le vicende sono Alan e Chow, due mine vaganti, uno a causa del suo essere infantile e incosciente, l'altro a causa del suo essere un criminale che bilancia il suo buffo aspetto con un cervello affilato come la lama di un rasoio (in sostanza, una ne fa e altre cento ne pensa). Oltre a essere le cause scatenanti di ogni guaio che i poveri Phil, Stu e Doug devono affrontare e risolvere, sono anche i due personaggi che sorreggono l'intera struttura comica del film. 


Se a questi elementi aggiungiamo una regia attenta, sceneggiature intricate ma che, come dei puzzle, alla fine fanno sì che ogni tassello vada a finire al posto giusto (ed è questo l'elemento che più mi ha fatto apprezzare i tre film), un montaggio dai ritmi forsennati, soprattutto nelle fasi più concitate delle narrazioni, e una colonna sonora che viaggia su note rock and heavy, con qualche licenza pop (ad un certo punto parte Mmmbop degli Hanson, ad esempio), non possiamo che applaudire e continuare a gustarci in home video le disavventure del Wolfpack. 
Applausi ovviamente anche a Todd Phillips che, da ieri, 7 settembre 2019, è entrato ufficialmente a far parte dei grandi di Hollywood grazie al Leone d'oro conquistato al Lido con il suo Joker (prodotto da Martin Scorsese, questo va sottolineato), primo film dedicato ad un personaggio del mondo dei fumetti (DC Comics) nella storia ad essere stato presentato e ad aver vinto il premio come miglior film a una kermesse importante come quella della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, arrivata quest'anno alla sua settantaseiesima edizione. 
Luca Cardarelli

martedì 3 settembre 2019

IT CAPITOLO 2 (2019) DI ANDY MUSCHIETTI


Dopo due anni di attesa, è infatti datato 2017 il primo capitolo del remake dell'omonima miniserie televisiva del 1989, finalmente torna al cinema Pennywise, per gli amici It, nel secondo capitolo della storia tratta dal più celebre romanzo firmato da Stephen King. Come narra la leggenda, ogni 27 anni questa entità mostruosa si manifesta puntualmente e miete vittime generalmente in età infantile, come il piccolo Georgie Denbrough, fratello di Bill, dalla cui scomparsa prendono piede le vicende del romanzo e del film.


Il club dei perdenti, originatosi subito dopo la sparizione di Georgie e formato da Bill, Ben, Mike, Beverly, Richie, Stanley ed Eddie, si è ormai sciolto, sebbene i suoi appartenenti si promisero di riunirsi nel caso in cui anche solo uno di loro si fosse trovato davanti lo spaventoso Clown Danzante. Siamo ai giorni nostri e tutti i Loser hanno preso strade diverse. Ma un giorno Bill (James McAvoy), Beverly (Jessica Chastain), Richie (Bill Hader), Ben (Jay Ryan), Stanley (Andy Bean) ed Eddie (James Ransone) ricevono una chiamata proveniente da Derry, la loro città natale: all'altro capo del telefono vi è Mike (Isaiah Mustafa) che da quella città non se n'è mai andato e che, unico del suo gruppo di amici memore delle (dis)avventure d'infanzia, reclama il loro ritorno nel Maine per combattere il redivivo Pennywise (Bill Skarsgaard), come imponeva il patto di sangue di ventisette anni prima. 


Andando subito al sodo, aggirando qualsiasi tipo di spoiler (sebbene la storia la conoscano tutti o quasi), It capitolo 2 riparte esattamente da dove si era interrotta la storia, ovvero dal patto di sangue dei loser ragazzini. Lo fa, però, con l'acceleratore premuto al massimo, amplificando a dismisura la sua essenza Horror, mischiandola in maniera equa con interminabili sequenze nelle quali la tensione e l'inquietudine regnano sovrane, esplodendo infine nei classici jumpscares che, al contrario di quel che tutti penseranno, non saranno mai prevedibili né ripetitivi, in quanto ben distribuiti all'interno della narrazione. Sebbene la durata si avvicini pericolosamente alle tre ore, It capitolo 2 non annoia, poiché Muschietti è stato molto abile a riempire con quanti più episodi e particolari possibili il racconto, pescando avidamente dal romanzo, rendendo questa seconda parte molto più aderente all'opera letteraria dalla quale è tratta. 


Rispetto al primo capitolo, che molti definirono, in maniera quasi spregiativa, una via di mezzo tra lo stesso It e Stranger Things, tanto da etichettarlo come "un film per ragazzini", questa seconda parte risulta, da un lato, molto più matura, e dall'altro, un vero e proprio film horror a prova di fan, sia del genere in sé sia dell'opera letteraria nonché di quelli appartenenti al club "nessuno tocchi la miniserie anni 80". Tutto questo viene impreziosito da decine di citazioni cinefile, un inaspettato cameo (che non svelo, non sia mai), ma la cosa che più colpisce di questo film è il cast: gli attori selezionati per interpretare i personaggi in età adulta sembrano essere veramente gli stessi attori del capitolo 1 invecchiati di 30 anni, su tutti Jay Ryan (Ben) e Bill Hader (Richie), quest'ultimo in odore di nomination per la propria, strepitosa performance. E non dimentichiamoci di Bill Skarsgaard che continua ad essere un Pennywise incredibilmente inquietante e terrificante come lo era stato nel primo capitolo. 


Tirando le somme, questo It capitolo 2 è da promuovere a pieni voti sia per la riscrittura e l'adattamento cinematografico del soggetto, che per la regia di Muschietti che pare aver tenuto conto delle critiche ricevute dopo il primo capitolo, confezionando un prodotto di alta qualità e molto ben indirizzato a livello di audience e, infine, anche dal punto di vista delle prove attoriali, frutto di un cast a dir poco stellare. Se dobbiamo trovare un difetto, forse Muschietti ha abusato leggermente dei flashback, ma sarebbe veramente inopportuno bocciare il suo film solo per questo dettaglio.
It Capitolo 2 sarà nelle sale italiane dal 5 settembre e il mio consiglio è di cercarne una che lo proietti in versione originale sottotitolata.
Voto 8,5.
Luca Cardarelli