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lunedì 28 luglio 2014

TRANSFORMERS 4 - L'ERA DELL'ESTINZIONE

  

Quando, consultando l'elenco dei film disponibili con la Promo 3, ti accorgi che l'ultimo film di Michael Crashboombang Bay è l'unico che puoi andare a vedere, perchè ne hai pieni i cocomeri di commediole americane romantiche tipo "provetta d'amore", "una notte in giallo" e porcate simili, speri che l'estate, sempre che sia iniziata, finisca in uno schioccar di dita. 
Speravo, incoraggiato anche da mia moglie, di trovare almeno un fattore positivo in questo film. Se dal letame ogni tanto può nascere un fiore, da Transformers 4 ci si può aspettare quantomeno una scena che travalichi l'idea che sia opera di un regista che più che far esplodere cose non sa fare (anche se, ad essere sincero, non mi sono dispiaciuti affatto film come Armageddon, The Island e Pain & gain). E invece, con sommo dispiacere, devo dire che di fattori positivi neanche l'ombra. 
Partiamo subito premettendo che, se il film fosse durato 85 minuti anzichè 170 (!!!), non mi sarei lamentato. Continuiamo affermando che attori come Mark Wahlberg (non è credibile come scienziato inventore, dai, è Mark "bicipiti d'acciaio" Wahlberg, nonchè ex pop star conosciuta come Marky Mark!!!)


e Stanley Tucci (impegnato in un pessimo scimmiottamento del compianto Steve Jobs)


in un film del genere non sono sprecati, di più. 
Finiamo stabilendo che un film ad uso e consumo principalmente di bambini ed adolescenti che induce un bambino 10 anni a pregare la mamma di andare a casa dieci minuti dopo l'inizio (giuro, l'ho sentito con le mie orecchie), non può essere un bel film, ma nemmeno lontanamente. Mai stato un film così lontano dall'essere bello (mi tiro su il morale con qualche dotta citazione). 


Questo è Transformers 4. Non può un film avere un finale che dura un'ora e mezza. NO. Tanto meno un film come Transformers 4. I battibecchi di papà Wahlberg con fidanzato di Wahlberghina: va bene uno, passi il secondo, eddaì, non c'è due senza tre, ma al quarto mi parte "Emmobbastaveramenteperò!!!" alla Maccio Capatonda. Le inquadrature del culo di Nicola Peltz, sì ok, ha un bel culo, l'abbiamo capito, ma non c'è bisogno di riocordarcelo ogni 2 per 3. 
Durante il film ho subito 3 abbiocchi pesantissimi. Uno durante il primo tempo. Due durante il secondo. A farmi da sveglia ci pensavano le continue esplosioni di cui Transformers 4 è pieno. 


Il fatto che Wahlberg trovi un camion in un cinema abbandonato è uno dei tanti generatori di WTF?!. disseminati lungo il film, ma forse è quello più imponente: 
cioè, la CIA sguinzaglia i suoi agenti in lungo e in largo per tutta l'America non appena sente odore di Transformers, e non c'è nessuno a cui sia risultato quanto meno strano che un Camion, che poi si rivelerà essere, manco a farlo apposta, il capo dei capi dei Transformers (Optimus Prime), sia parcheggiato in un Cinema abbandonato??? 
Allora ci credo che non sapevano nulla sulla preparazione degli attentati alle torri gemelle nel 2001...
E poi i dinosauri robotici... I Dinobot... Spuntati fuori da non si sa dove.. Vabbè, magari mentre lo spiegavano io stavo dormendo...


Ora, capisco che lo scopo principale di questo film è il divertimento per immagini, ma far durare la battaglia finale tutto il secondo tempo è qualcosa che trasforma (non a caso) il tutto in un inutile polpettone dove i protagonisti non sono i Robot, non sono gli umani, ma palazzi che crollano, navi che cadono dal cielo, esplosioni, spari, esplosioni, spari, esplosioni, esplosioni e ancora esplosioni.
Avete presente quando eravate a scuola e non aspettavate altro che la campanella, fottendovene di quello che diceva il professore dell'ultima ora del sabato? Ecco, io durante la visione di Transformers 4 non aspettavo altro che i titoli di coda. 


E ciò che mi è rimasto più impresso di questa visione, è il Trailer di SIN CITY - A DAME TO KILL FOR, andato in onda prima dell'inizio del film.

 



mercoledì 23 luglio 2014

REVIEW: IL BUONO, IL BRUTTO, IL CATTIVO


Ed eccoci al capitolo conclusivo della Trilogia del Dollaro firmata dal Maestro Sergio Leone: l'apice dell'epicità, il capolavoro assoluto del genere "Spaghetti Western", probabilmente il miglior mix tra stile registico, sceneggiatura, colonna sonora e prove attoriali che il cinema italiano abbia mai conosciuto. 
La storia la conosciamo tutti. Gli attori pure. Il regista, che ve lo dico a fare. Il compositore, pure lui, inutile specificare chi sia. Quando diciamo "Western" è praticamente impossibile non tornare con la mente a quell'arena sassosa nel bel mezzo del cimitero di Saint Hill, dove si sfidano a "Triello", per una montagna di dollari (altro che "pugno") Clint Eastwood (Biondo/Il Buono), Eli Wallach (Tuco/Il Brutto) e Lee Van Cleef (Sentenza/Il Cattivo), che poi è un Duello mascherato da Triello, come tutti sapete, no? Perchè Biondo è Buono, mica Scemo. Eh Eh. 
Possiamo tranquillamente affermare comunque che tutta la pellicola, di 178 minuti di durata, è un inno al Mito, all'epicità, a tutto ciò che Leone è convinto sia (ed effettivamente è) il "Mondo Western". Una summa che mescola ingredienti presi dai due precedenti capitoli della Saga, della Trilogia del Dollaro (Pardon) e ne aggiunge di nuovi per arrivare alla massima espressione della sua Bellezza con la mezz'ora finale, che è una delle più belle (se non la più bella) mezze ore finali dell'intera storia del cinema TUTTO, non solo Western. Un gioco di sguardi, di inquadrature, di dettagli, incorniciati da una musica da pelle d'oca che, all'apice della bellezza, si interrompe e lascia cantare le immagini. Uno sparo. Sentenza viene colpito. Un'altra volta. Muore. Tuco fa per ripararsi goffamente dalla pallottola che, pensa, Biondo sta per indirizzargli. Tuco, con la pistola scarica a sua insaputa. Che strizza, Tuco. Ma Biondo è Buono. Biondo ti lascia vivere. Prima devi scavare, però. E poi potrai vivere. Con un piccolo tesoro in dollari/oro che, come da accordi sociali, ti spartirai con lui, Biondo, quel figlio di una grandissima Puttaaaaaaaaaaaaaa aaaaaaaaaa aaaaaaaaaaa!!!! 


Io impazzisco ogni volta su questa scena. 

martedì 22 luglio 2014

THE DREAMERS di Bernardo Bertolucci



C'era una volta Parigi. Erano gli anni della rivoluzione culturale (il "68" per intenderci), che dalle Aule della Sorbonne si allargò a macchia d'olio per tutta Europa, anche in Italia. Erano anni di grande fermento culturale. Esplodeva, in ambito cinematografico, il mito della Nouvelle Vague dei vari Truffaut-Godard-Resnais.


C'erano tre ragazzi. Due francesi, Theo (Louis Garrel) e Isabelle (Eva Green), fratelli gemelli un po' matti, e un americano, Matthew (Michael Pitt), ingenuo ed acerbo cui i due terribili gemelli della "Parigi bene" insegneranno a stare al mondo, a modo loro, ovviamente. Ciò che li unisce è la sconfinata passione per il cinema e tutte le altre forme d'arte. Passano le loro giornate a citare i grandi film del passato e del (loro) presente). Vivono in un mondo fatto di giochi più o meno innocenti, che sfociano facilmente anche nel sesso. Sono innamorati. Tutti e tre. Di tutti e tre. I gemelli, si sa, sono legati l'un l'altra da un filo empatico e amoroso. Tutti e due, Theo e Isabelle, sono innamorati di Matthew. E Matthew li ama a sua volta entrambi. Il tutto tra le pareti sicure di una casa lasciata alla loro mercè dai genitori. Le esperienze si susseguono una dopo l'altra a velocità altissima.


Ma ci sarà qualcosa che, alla fine, li dividerà per sempre, a dispetto delle loro iniziali intenzioni di non separarsi mai. E' l'incontrollabile voglia di Theo e Isabelle di aderire ad un movimento che rivendica i propri diritti a suon di molotov. E a Matthew questo non piace. Non gli è mai piaciuto. Neanche l'amore che univa i tre può nulla. La crepa è insanabile. Peccato.
Bertolucci dedica questo suo film, di ormai 11 anni fa, alla gioventù, alla libertà, all'amore, ma soprattutto al Cinema.


The Dreamers è un film sulla cinefilia, diretto da un cineasta cinefilo, dedicato ai cinefili. The Dreamers è CINEMA. Puro, cristallino, totale.
Colonna sonora meravigliosa.
Scene di capolavori del cinema classico e contemporaneo (all'epoca in cui è ambientato questo film) riprodotte alla perfezione, con una maniacale cura dei dettagli (vedi la corsa di Theo, Isabelle e Matthew nel Louvre quasi identica a quella di Arthur, Odile e Franz in Bande a part di Godard).
Sceneggiatura di Gilbert Adair, autore del racconto a cui si ispira il film, The Holy Innocents.




domenica 20 luglio 2014

SOMEWHERE di Sofia Coppola



Finalmente è arrivata l'estate. E puntualmente, con il caldo afoso estivo, è arrivata anche l'insonnia. Niente di meglio, dunque, di guardarsi un po' di film lasciati indietro, ma sempre disponibili sul "Play" di Mediaset Premium (infatti ho anche recuperato "The Dreamers" di Bertolucci, che non avevo mai visto, colpevolmente). 
Somewhere, a dire la verità, avevo già provato a vederlo già un po' di tempo fa, ma bloccai la visione dopo la prima mezz'ora. Stavolta ho preso il coraggio a due mani e me lo sono guardato dall'inizio alla fine tutto d'un fiato. 


Che dire? Somewhere non è un film brutto. E' solo troppo lungo. E un po' noioso. La colonna sonora, come in tutti i film della Coppolina, è veramente bella, però. Ma ciò non toglie che siamo di fronte ad un film che poteva benissimo durare mezz'ora. Già dalla prima scena, quella della Ferrari di John che gira nel deserto, apparentemente in tondo, e senza una meta, si intuisce quale sarà il fil rouge che regge tutto il film: la ripetitività.
Johnny Marco (Stephen Dorff) è una star di Hollywood. E' ricco, belloccio (un po' dannato), ha una Ferrari, si trova pure le donne nel letto quando entra in casa. Ma soldi, il lusso, le donne vengono spazzate via dalla noia e dalla solitudine che lo assalgono. Riempirà questo vuoto cosmico la figlia Cleo (una giovanissima e bravissima Elle Fanning), affidatagli per impegni (o presunti tali) della madre da cui, pare, john abbia divorziato o si sia quantomeno separato. Con Cleo Johnny è felice. Spensierato. Allegro. Sembra un'altra persona. Il film si dipana su questo doppio volto: John con Cleo. John senza Cleo.  


Lunghi silenzi, scene grottesche da "Notte dei Telegatti" con Simona Ventura e Nino Frassica. Interviste con domande imbarazzanti di Giorgia Surina (che non so se se ne sia resa conto, ma corrispondono a quelle reali). Scene di momenti felici davanti alla Playstation con Cleo che zompetta felice e John che si compiace della sua bella e brava figlioletta. Giri in Ferrari. Pensieri che si sovrappongono nella mente di John. Un finale un po' così, nichilista. Questo film è una sorta di documentario sulla vita da star hollywodiana (e spesso vite come quella di John finiscono con un suicidio).  Ma sostanzialmente tutto si riduce a questo messaggio:  Puoi avere tutti i soldi, macchine, donne che vuoi, ma ciò che ti riempie veramente la vita è l'amore, quello vero, in questo specifico caso quello filiale. E se lo scopri troppo tardi, non puoi più tornare su tuoi passi. 
Potremmo benissimo sostituire i nomi John e Cleo con Francis e Sofia. La storia infatti è chiaramente autobiografica. 






martedì 8 luglio 2014

TUTTA COLPA DEL VULCANO


Alain e Valerie sono una ex-coppia. Non si sopportano, ma devono riincontrarsi in occasione del matrimonio, in Grecia, della figlia ventenne. Prendono lo stesso aereo che però viene dirottato in Germania a causa dell'eruzione del Vulcano Islandese Eyjafjallajokull (fatto di cronaca vera risalente al 2010). Da quel momento inizia una corsa contro il tempo per arrivare in tempo dalla figlia che li aspetta. I due (se) ne combineranno di tutti i colori lungo tutto il tragitto, molto tortuoso.  
Il cinema francese, da qualche anno a questa parte, sembra essersi specializzato nel genere delle commedie semidemenziali. Se con film come Giù al Nord e Niente da dichiarare? questa formula è risultata in qualche modo vincente, ora, dopo numerosi film che percorrono lo stesso binario, sta iniziando a stancare, o meglio, ad appiattirsi prendendo la conformazione dei film "da catena di montaggio", in cui cambiano solo le situazioni, ma la solfa è sempre la stessa. Vi avevo già parlato, in termini anche abbastanza entusiastici di Un piano perfetto  di Pascal Chaumeil con Dany Boon e Diane Kruger. L'avevo definito piacevole, divertente, certamente un po' scontato, ma non per questo deprecabile. Ecco, Tutta colpa de Vulcano (Eyjafjallajokull il titolo originale), diretto da Alexandre Coffre, con lo stesso Dany Boon affiancato stavolta da Valerie Bonneton, è molto molto simile, per lo meno in quanto a stile narrativo, gestione dei tempi comici e gags. Il tutto, quindi, si riduce ad una copia di una copia di una copia, per dirla alla Fight club. Certo, si ride, e non a denti stretti, ma è tutto già visto e rivisto, oltre che piuttosto prevedibile. Si salvano i due protagonisti, molto affiatati e capaci di far ridere anche solo con uno sguardo. Ma a parte questa nota positiva, poco altro c'è da salvare, sebbene sia un film tutt'altro che brutto (si lascia guardare, insomma). 
Ma abbiamo sicuramente visto di meglio. 






lunedì 7 luglio 2014

MAI COSI' VICINI (e mai così crudeli)


Questa recensione in anteprima è pubblicata anche sul blog theoscarface dell'amica Emanuela con la quale collaboro.
L'estate, si sa, non è stagione per uscite cinematografiche di spessore, salvo rarissime eccezioni. I pochi film che vengono proposti, spesso lasciano il tempo che trovano. Ci eravamo illusi che "Mai così vicini" ("And so it goes" il titolo originale) del buon vecchio Rob Reiner (regista di perle assolute come "Stand by me-Ricordo di un'estate e "Harry ti presento Sally", solo per citarne alcuni) potesse interrompere questo incantesimo che rende oltremodo lunghe e cariche di attesa per l'autunno le estati cinematografiche. Invece, come vedremo, anche questo film non si discosta di molto dal trend negativo del cinema sotto il solleone.
Oren Little (Michael Douglas) è un agente immobiliare col pelo sullo stomaco, cinico e insensibile in procinto di andare in pensione previa vendita della casa in cui ha vissuto con la moglie e il figlio Luke (Scott Shepherd), la prima ora defunta e l'altro sparito chissà dove e alle prese con problemi di droga. Oren vive in un complesso di villette a schiera che egli stesso amministra e ha come vicina Leah (Diane Keaton), con cui non ha un bel rapporto. La vita dei due cambia quando il figlio di Oren spunta fuori dal nulla con una ragazzina di dieci anni, Sarah (Sterling Jerins), avuta da un rapporto fugace con un'altra sbandata di cui il nonno non era affatto al corrente. Il motivo della visita? Luke vuole affidare la figlia al nonno prima di iniziare un periodo di 10 mesi di detenzione per un crimine (non) commesso.
Dopo un'accoglienza che definire fredda sarebbe oltremodo riduttivo, la piccola riesce a far breccia nel cuore del nonno facendo sì che questi si avvicini a Leah, vedova con la passione per il canto che da una parte non si dà pace per la morte del marito, ma dall’altra vorrebbe riuscire a staccarsi dal passato per iniziare un capitolo nuovo della propria vita.
Le premesse per un buon film vi erano tutte, la più grande era, ovviamente quella data dal cast tecnico e artistico, con due stelle luminosissime come Diane Keaton e Michael Douglas, entrambi premi Oscar, diretti da un regista che non ha bisogno di presentazioni. Ma la storia che ci viene raccontata scade molto facilmente nella banalità e nella prevedibilità, nonchè nel déjà vu. Un uomo, una donna, una bambina, l'amoreodio/odioamore, e vissero tutti felici e contenti. Nessun colpo di scena, dialoghi privi di verve che per far ridere (in una commedia di solito un po' si deve ridere, o per lo meno sorridere!) hanno bisogno di facili allusioni sessuali. E così via, per tutto il film.
Un film, "Mai così vicini", che rischia di creare un mare di polemiche con una scena di pochissimi secondi in cui Oren, deciso a liberarsi della nipotina, una volta rintracciata la madre di questa, le porta la piccola. Ma, una volta appurate le condizioni allucinanti in cui versano sia la madre che il quartiere in cui la donna vive, gliela ristrappa dalle braccia e decide di tenersi la nipotina, e tanti saluti. Chi scrive, come probabilmente chi gli era accanto durante la proiezione, dopo la visione di tale crudeltà visiva, ha provato il desiderio di alzarsi e lasciare la sala. E quello che fa ancora più male è l’indifferenza della bambina nonostante la consapevolezza che quella persona che l’ha abbracciata, anche se consumata visibilmente dagli effetti dell'eroina, sia sua mamma: non si pone nessuna domanda né rimane assolutamente colpita dalla situazione, un bel sorriso e la vita continua spensierata come se nulla fosse successo.
Una scena la cui crudeltà è inversamente proporzionale alla sua durata. Una scena che non può che avere un unico effetto su tutto il film, ovvero renderlo inguardabile e immettere nello spettatore l'irrefrenabile desiderio di dimenticarsi di averlo visto.
Nelle sale dal 10 luglio.

venerdì 4 luglio 2014

REVIEW: PER QUALCHE DOLLARO IN PIU'


Secondo capitolo della Trilogia del Dollaro riproposta al cinema nella versione restaurata da quei manici della Cineteca di Bologna, Per qualche Dollaro in più ci mostra quanto Sergio Leone abbia perfezionato la propria arte nel genere Western rispetto al precedente film (sempre di capolavoro si tratta, ma per ben altri motivi rispetto a quello di cui Vi sto scrivendo). Innanzitutto ci troviamo di fronte ad un "colossal" vero e proprio: mentre il capitolo antecedente durava poco più di un'ora e mezza, questo dura circa un'ora in più, e la trama è molto meno lineare rispetto a "Per un pugno di dollari" nonché molto più ricca di particolari. Il film dal punto di vista tecnico/stilistico è di un livello superiore. Si iniziano a scorgere quegli elementi che nel terzo capitolo ("Il buono, il brutto, il cattivo") verranno esaltati dal Maestro e contribuiranno decisamente ad elevare la Sua opera a Capolavoro Inarrivabile del Cinema Italiano ed Internazionale. 
                                         
                           

La cura dei dettagli, le inquadrature studiate fino all'esasperazione, il connubio con la musica, vera e propria colonna portante dei film di Sergio Leone che scandisce il tempo dell'azione dei protagonisti (pensiamo al carillon dell'Indio che si mescola con le note del Maestro Morricone in una sinfonia da brividi). Il tutto glorificato dalle perfette performances dei tre protagonisti (Clint Eastwood/Joe Il Monco, Lee Van Cleef/Col. Mortime e Gianmaria Volonté/El Indio) e dei relativi gregari (Mario Brega/El Nino, Klaus Kinsky/Wild e Luigi Pistilli/Groggy). 


E poi vi sono tutti gli elementi stereotipati e stereotipanti del genere Western: la ferrovia, le corse a cavallo, sparatorie, i duelli, le scazzottate, i tradimenti e gli inganni,  fino ad arrivare all'immancabile rapina alla Banca apparentemente impossibile da rapinare. Ovviamente il tocco di Sergio Leone rende il tutto originalissimo nonché perfetto dal punto di vista stilistico.


Per qualche dollaro in più è il film che ci prepara al capitolo finale della Trilogia del Dollaro che verrà riproposto nelle sale a partire dal 17 luglio.  Accorrete numerosi, è un evento imperdibile. Anche se non Vi garba il genere, Vi consiglio ugualmente di provare a darci un occhiata, perchè certe occasioni capitano poche volte nella vita. Soprattutto in quella di un cinefilo. 





D: Ragazzo, sei diventato ricco.
J: SIAMO diventati ricchi.
D: No, tu solo, e te lo sei meritato.
J: E la nostra Società?
D: Un'altra volta.