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venerdì 21 dicembre 2018

IL RITORNO DI MARY POPPINS (2018) DI ROB MARSHALL


Eccoci a commentare l’ennesimo sequel che rimarca, se ce ne fosse ancora bisogno, la mancanza di idee o meglio la non voglia dei capoccioni Hollywoodiani di spremersi le meningi e farci arrivare, almeno per le Feste, qualcosa di non ancora visto. Alla regia de Il Ritorno di Mary Poppins troviamo Rob Marshall (Chicago), mentre nei panni della magica Tata c’è Emily Blunt, ma per favore non facciamo paragoni con Julie Andrews perché qualunque attrice perderebbe indecorosamente contro tale divinità cinematografica.


Stavolta nei guai con la Banca (per la quale lavora come cassiere) è proprio Michael Banks (Ben Whishaw), vedovo e con tre figli da sfamare (Georgie, Annabel e John), che non riesce a pagare le rate del mutuo e, nonostante l’aiuto della sorella Jane (Emily Mortimer), rischia di vedersi portar via la casa dal Direttore senza cuore Wilkins (Colin Firth). In soccorso di Michael arriverà Mary Poppins (Emily Blunt) in compagnia del suo amico lampionaio Jack (Lin Manuel Miranda).   


Il dettaglio che ci fa intuire che trattasi di sequel e non di remake è il fatto che i protagonisti, oltre a Mary Poppins, siano Michael e Jane Banks con circa venti primavere in più rispetto al film del 1964.
Il Ritorno di Mary Poppins è un film piacevole, strutturato come commedia/musical con chiaro spirito pedagogico (come il capitolo precedente) e accompagna lo spettatore senza troppi intoppi fino alla fine. Il problema è proprio il capitolo precedente che, volenti o nolenti, siamo costretti a usare come pietra di paragone con gli esiti tra i più scontati possibili. Non si può rimproverare nulla a Emily Blunt la quale recita, canta e balla in maniera quasi impeccabile ma, come già accennato in precedenza, si ritrova per forza di cose a fare i conti con un improponibile confronto con l’attrice che la precedette nel suo ruolo, ovvero Julie Andrews.


Da apprezzare ci sono i camei dei grandissimi Dick Van Dyke e Angela Lansbury e un’altra comparsata di pochissimi secondi (non vi svelo né l’attrice né il suo ruolo nel film precedente), nonché i frammenti animati del film, per i quali è stata utilizzata la stessa tecnica grafica del primo capitolo. Piccolo ruolo anche per Meryl Streep che però non lascia il segno. 
D’altro canto, manca quella canzone iconica capace di far rimanere bene impresso il film nella memoria degli spettatori, come lo fu “Basta un poco di zucchero” e, ancora di più, “Supercalifragilistichespiralidoso”. Il Ritorno di Mary Poppins risulta comunque un film commovente, sebbene solo in alcuni suoi punti, e molte sue scene sono state girate con il chiaro scopo di far rivivere i fasti del primo film (obiettivo a volte centrato, altre no). Possiamo dunque parlare di un film riuscito a metà, forse fuori tempo massimo (i cinquantaquattro anni di differenza si sentono tutti). Magari questo film piacerà più alle vecchie generazioni che a quelle più giovani, ma quasi sicuramente, almeno al botteghino, sarà un successo.
Il Ritorno di Mary Poppins è in programmazione nelle sale italiane dal 20 dicembre, distribuito da Walt DisneyStudios Motion Pictures che si ringrazia per le immagini allegate.
Voto: 6,5
Luca Cardarelli


giovedì 20 dicembre 2018

BUMBLEBEE (2018) DI TRAVIS KNIGHT [NO SPOILER]


Dopo il disastroso ultimo capitolo della saga Transformers (L’ultimo Cavaliere) diretto da Michael Bay, era necessaria un’inversione di rotta per tutto il franchise targato Paramount-Hasbro che, altrimenti, sarebbe andato completamente distrutto. A sistemare le cose, o per lo meno a provarci, è stato chiamato, da Bay stesso, un regista relativamente giovane con un recente passato da animatore (nel senso cinematografico, non vacanziero), Travis Knight, erede dell’Impero Nike (è infatti il figlio di Phil Knight, Fondatore e Presidente dell’azienda regina del mercato dell’abbigliamento sportivo) nonché presidente e Amministratore delegato della Laika Entertainment, società per la quale ha diretto il suo unico film prima di Bumblebee, Kubo e la spada magica. Bay si è dunque defilato preferendo ricoprire la figura del produttore insieme al suo amico fraterno Steven Spielberg.
Premettiamo subito che Bumblebee cancella quasi totalmente l’ultimo episodio di Tranformers, in quanto vi sono dei dettagli che stridono con la storyline  imbastita da Bay sulla presenza dei Cybertroniani sulla Terra sin dalla preistoria e molte altre chicche.


Secondo il prologo del film, infatti, Cybertron è sull’orlo del collasso causato da una guerra pesantissima tra Autobot (i Transformers buoni) e Decepticon (i Transformers malvagi). Optimus Prime, il capo degli Autobot, decide che, per preservare la propria gente, è meglio trovare un altro pianeta da abitare e nello stesso tempo da proteggere dalla minaccia portata dai Decepticon. Il primo Autobot ad essere spedito sulla Terra è Bumblebee. Subito dopo essere precipitato sul nostro pianeta, esso si scontra con una truppa armata dell’esercito americano capitanata dall’Agente Burns (John Cena) e, per sfuggirvi, si mimetizza sotto forma di Maggiolino Volkswagen in uno sfasciacarrozze di San Francisco. Qui, Charlie Watson (Hailee Steinfeld), una ragazzina di 18 anni appena compiuti, lavora per racimolare quel tanto che le permetterebbe di comprarsi un’automobile. Un giorno però Charlie riesce a strappare dalle grinfie di un antipaticissimo capo officina il maggiolone giallo e portarselo a casa. Nel frattempo i militari, paventando una minaccia sovietica, vengono a patti con i Decepticons che hanno localizzato Bumblebee e lo stanno cercando per porre fine alla sua vita. Ovviamente il Governo USA non sa in quale guaio sia appena andato a cacciarsi.


In questa cornice, il film di Travis Knight si dipana molto agilmente tra scene action girate finalmente con una logica, piccole e non fastidiose situazioni comiche e un sottofondo piacevolissimo che la colonna sonora meravigliosamente anni ’80 ci regala. Travis Knight ci porta un film piacevolissimo da guardare, sia per i più attempati che per i ragazzini che, specifichiamolo, rappresentano il vero target della pellicola. La trama non risulta ingarbugliata come nei precedenti capitoli, anzi, risulta fin troppo lineare, ma mai rinunciataria o banale.


Semplicemente si tratta di un film di puro intrattenimento e chi lo vedrà, nella maggior parte dei casi, sono sicuro che rimarrà molto soddisfatto, anche in base alle aspettative molto basse con le quali molti si approcceranno alla sua visione. Se al tutto aggiungiamo delle bellissime citazioni sia musicali che per immagini di film cult anni ’80 che lascio a voi il piacere di scoprire quali siano, non possiamo che rimanere piacevolmente impressionati dal lavoro svolto dal regista e dal suo cast tecnico, nel quale spicca il nome di Dario Marinelli, autore delle musiche originali del film e vincitore di Golden Globe e premio Oscar per la colonna sonora del Film “Espiazione” nel 2008.


In conclusione, il film è ampiamente promosso, non solo se confrontato con i precedenti capitoli della saga di cui fa parte, ma anche in quanto film a se stante che, speriamo, abbia dei dignitosi sequel che proseguano sulla sua stessa strada.
E se vi steste chiedendo come diavolo faccia un Maggiolone Volkswagen a diventare una Chevrolet Camaro, siate fiduciosi: avrete la risposta guardando il film.
Bumblebee uscirà in Italia, distribuito da Twentieth Century Fox (che si ringrazia per le immagini fornite) il giorno 20 dicembre. Non perdetevelo!
Voto 8.
Luca Cardarelli







lunedì 17 dicembre 2018

MACCHINE MORTALI (2018) DI CHRISTIAN RIVERS


Chi si lamentava del fatto che quest’anno non ci sarebbe stato il consueto film di Natale proveniente da un Galassia lontana lontana, potrebbe trovare in Macchine Mortali una (non) buona alternativa. La pellicola, tratta dall’omonimo romanzo di Philip Reeve, diretta da Christian Rivers, aiuto regista di Peter Jackson (qui produttore e co-sceneggiatore insieme a Philippa Boyens e Fran Walsh) nei primi due episodi della trilogia de Lo Hobbit, è infatti una sorta di trasposizione steam punk di Star Wars, dal momento in cui mescola al suo interno storyline e personaggi, variando sostanzialmente solo le ambientazioni, costituite da paesaggi post-apocalittici e città predatrici poste su carri armati in cerca di altre città da distruggere.


Come nei film di Star Wars abbiamo un “Impero” e una coalizione di “Ribelli”. A Capo dell’impero, interpretato da Hugo Weaving, vi è Thaddeus Valentine, una sorta di Dart Vader anni 3000, in possesso di un’arma simil-Morte Nera in grado di distruggere tutto ciò che incontra davanti a sé, e con una storia tormentata alle spalle finita con l’uccisione della madre di Hester Shaw (Hera Hilmar), la quale ora è in cerca di vendetta. L’Han Solo della situazione è  Tom, interpretato dal belloccio da Young Adult movie Robert Sheehan, giovane sottomesso al sistema di Valentine che, dopo aver scoperto le sue magagne, si unisce a Hester per aiutarla.


Le vicende poi si evolveranno in una guerra tra la potente e cingolatissima Londra e le piccole città, oltre che in una mielosissima storia d’amore con inevitabile happy ending.
Come si può intuire, Macchine Mortali non possiede al suo interno alcun elemento innovativo, se non forse nel suo comparto tecnico, capace di ricreare ambientazioni maestose e qualche scena action degna di nota. Tutto il resto sa di già ampiamente visto e rivisto, tanto da permettere di prevedere in sequenza ogni singolo avvenimento, la comparsa di nuovi, stereotipatissimi personaggi (che in molti casi spariscono senza motivo, per poi riapparire sempre senza motivo) e le ovvie, nel senso di scontatissime, soluzioni finali.


Essendo sotto Natale, si potrebbe paragonare questo film a un curatissimo incarto che avvolge una bellissima scatola vuota o, se proprio non vogliamo metterla giù così dura, un regalo che delude enormemente le aspettative in esso riposte, come quando, da ragazzini, trovavamo una sciarpina e un paio di guanti, mentre ci aspettavamo una Playstation.
Con buona pace di Peter Jackson. 
Il film è nelle sale dal 13 dicembre, distribuito in Italia da Universal Pictures. 
Voto: 5
Luca Cardarelli
Per le immagini si ringrazia Universal Pictures.



giovedì 11 ottobre 2018

SOLDADO (2018) DI STEFANO SOLLIMA



Dopo essere salito agli onori della cronaca in Italia grazie alle serie tv Romanzo Criminale e Gomorra (giunta alla quarta stagione, attualmente in produzione) e a film come A.C.A.B. del 2012 e Suburra del 2015, Stefano Sollima ha intrapreso il “grande salto”, chiamato a gran voce dai produttori di Hollywood, e, con Soldado, ha raccolto l’eredità di Denis Villeneuve, che nel 2015 aveva diretto Sicario, di cui questo film è il sequel. Scritto come Sicario da Taylor Sheridan, Soldado costituisce la naturale prosecuzione delle vicende narrate nel film diretto da Villeneuve.


Nella lotta al terrorismo, al traffico di droga e di esseri umani, le Autorità statunitensi con la CIA in testa, coordinate dall’Agente Federale Matt Graver (Josh Brolin), si trovano costrette ad infrangere ogni regola etica e morale. A questo proposito Graver assolda Alejandro (Benicio Del Toro) il quale, ancora scosso per l’uccisione della moglie e della figlia da parte di un boss del cartello, scatenerà una guerra sanguinosa tra gang legate ai cartelli messicani. 


Molte cose hanno in comune Sicario e Soldado. In primis le ambientazioni polverose e desolanti delle terre di confine tra USA e Messico. In secondo luogo i tempi dilatatissimi (a tratti a rischio noia) e i lunghissimi silenzi durante i quali a parlare sono le immagini crude e le musiche angoscianti, come si confà ai film di questo genere. Infine, ma si potrebbe anche proseguire nell’elenco delle similitudini, il cast è rimasto pressappoco lo stesso, salvo Emily Blunt tagliata e sostituita da altre due figure femminili, ovvero Isabela Moner (apparsa in Transformers: L’Ultimo Cavaliere) nei panni di Isabel Reyes, la figlia del Boss Reyes, e Catherine Keener (già presente in Scappa – Get Out del 2017) nei panni di Cynthia Foards,  il vicedirettore della CIA.


Sollima, coadiuvato da Sheridan, è riuscito con la sua regia a trasmettere alla perfezione la psicologia dei diversi personaggi, in particolare quella di Alejandro, che alla fine dovrà fare i conti con la propria coscienza che andrà a scontrarsi frontalmente con gli ordini impartitigli per portare correttamente a termine la missione che gli è stata affidata dalla CIA.


Il finale del film rasenta la perfezione per quanto riguarda il ritmo e il montaggio. Stessa cosa non si può affermare, purtroppo, per la parte centrale del film, veramente troppo dilatata a livello di tempi, tanto da rischiare di generare noia o comunque disattenzione nello spettatore. Peccato, perché se il film fosse continuato per tutti i suoi 124 minuti così com’era cominciato, ovvero con il botto, letteralmente, ci saremmo trovati di fronte ad un film pressoché perfetto e memorabile. 


Sembra quasi che, nel girare Soldado,  Sollima abbia fatto fatica a scrollarsi di dosso le vesti da “Regista di serie TV” che ormai gli stanno un po’ strette, visto anche il suo curriculum cinematografico molto promettente per il futuro. Nonostante tutto non si può di certo parlare di fallimento, in quanto, alla fine dei conti, in Soldado i pregi superano i difetti, anche se la strada da percorrere per Sollima è ancora abbastanza lunga e impervia. Soldado, secondo episodio di una trilogia, già distribuito nelle sale americane dal 29 giugno, uscirà in Italia il prossimo 18 ottobre, distribuito da 01 Distribution con Rai Cinema.
Voto: 7-
Luca Cardarelli 



lunedì 8 ottobre 2018

AUGURI PER LA TUA MORTE (2017) DI CHRISTOPHER LANDON


Non essendo riuscito a vederlo al cinema né avendolo a disposizione in edizione Home Video (mai acquistare un dvd/bluray a scatola chiusa) ho dovuto aspettare il passaggio sulla pay tv per gustarmi questa pellicola di cui tanti parlarono bene all’epoca della sua uscita nelle sale.


Prodotto dalla gloriosa Blumhouse Production e distribuito da Universal, scritto (insieme al fumettista per Marvel e DC Comics Scott Lobdell) e diretto da Christopher Landon, già noto per la regia ne “Il Segnato” e “Manuale scout per l’apocalisse zombie”, nonché figlio di Michael Landon, il Signor Charles Ingalls de “La casa nella prateria”, "Auguri per la tua morte" è una sorta di “Ricomincio da capo” in salsa slasher in cui una giovane e bella studentessa, Tree (Jessica Rothe) continua a svegliarsi sbronzissima la mattina del suo compleanno nella stanza di Carter (Israel Broussard), in un dormitorio universitario, dopo essere stata uccisa da una misteriosa persona che indossa una maschera da neonato paffutello. La maledizione durerà finché Tree non avrà scoperto e ucciso chi si cela dietro quella maschera.


Non mi aspettavo chissà quale capolavoro e forse questo dettaglio mi ha fatto apprezzare più del previsto questo film rivelatosi un divertente thriller ben congeniato, avvincente e con un bel plot twist finale, che mi ha tenuto sempre attento nel tentativo di intuire chi fosse l’assassino. Insomma, è un film che fa il suo dovere e non si perde in trame e sottotrame inutili ma scorre veloce e centra perfettamente il bersaglio. Al suo interno numerose citazioni, oltre quella già citata di Ricomincio da capo di Harold Ramis: si va da Ritorno al Futuro di Robert Zemeckis a Scream di Wes Craven, da I Goonies di Richard Donner a Schegge di Follia di Michael Lehmann.


Nel cast spiccano Jessica Rothe (già vista in “L’estate addosso” di Gabriele Muccino e “LaLaLand” di Damien Chazelle), Israel Broussard (uno degli attori protagonisti in “Bling Ring” di Sofia Coppola) e Ruby Modine (serie tv “Shameless”), figlia del grande Matthew Modine.
Auguri per la tua morte è particolarmente consigliato, oltre agli amanti degli slasher, a chi si vuole regalare una serata di relax condita da un film leggero e divertente. 
A quanto pare è prevista l'uscita nei cinema USA di un sequel intitolato "Happy death day 2U" per il giorno 14 febbraio 2019: attendiamo fiduciosi.
Voto: 7
Luca Cardarelli




giovedì 4 ottobre 2018

VENOM (2018) DI RUBEN FLEISCHER [NO SPOILER]


Bentornati nello Spider-Verse con il nuovo, attesissimo e chiacchieratissimo cine-comics stand alone di casa Sony dedicato ad uno dei più famosi antagonisti dell’Uomo Ragno: Venom.
Il film, diretto da Ruben Fleischer, già regista di Benvenuti a Zombieland del 2009 e Gangster Squad del 2013, vede al centro della scena Tom Hardy che interpreta il protagonista Eddie Brock, un reporter televisivo d’assalto al quale viene affidato un servizio sul dottor Carlton Drake (Riz Ahmed, che ricordiamo in Nightcrawler al fianco di Jake Gyllenhaal), multimiliardario impegnato con la sua Life Foundation nella ricerca finalizzata all’utilizzo di organismi alieni per allungare più del doppio l’aspettativa di vita umana, nonché alla colonizzazione di altri pianeti.


Brock scopre rovistando nelle mail della compagna avvocato Anne (Michelle Williams) che Drake nasconde brutali torture su cavie umane, utilizzate per i suoi esperimenti e decide di renderlo pubblico, non curante delle conseguenze sulla sua vita privata e, soprattutto, sulla sua salute, entrando in contatto con l’organismo alieno conservato nei laboratori della Life durante un blitz notturno, scortato dalla dottoressa Dora Skirth (Jenny Slate), collaboratrice di Drake.  


A dispetto di un budget di 100 milioni di dollari, un cast di prim’ordine, un regista non malvagio e figure tecniche degne di nota (per esempio, Matthew Libatique, che ha curato la fotografia per tutti i film di Darren Aronofsky tranne che per The Wrestler), Venom si rivela un film con parecchi problemi, primo tra tutti la sceneggiatura e, conseguentemente, la trama. Molti sviluppi narrativi sono lasciati all’immaginazione dello spettatore e i personaggi, salvo il protagonista e il villain, sono caratterizzati molto superficialmente, se non peggio. Poi è molto confusa e frettolosa la parte in cui dovrebbe essere spiegata la genesi degli elementi simbiotici che genereranno i Simbionti, ovvero le colonne portanti di tutta la storia.  La CGI, com il plot, risulta poco accattivante e degna di un film di fine anni ‘90/inizio anni 2000. Inoltre, stando all’opinione dei numerosi fan della saga fumettistica dedicata a Venom presenti alla proiezione stampa, la storia è stata parecchio stravolta, trasformando quello che era uno dei Villain più cattivi dell’Universo di Spider-Man, in un personaggio quasi positivo, quasi un eroe, piuttosto che un anti-eroe quale dovrebbe essere effettivamente.


Non si sa se sono stati attuati dei tagli alla pellicola che aveva intenzione di realizzare Ruben Fleischer (in rete gira la notizia che siano stati eliminati circa 40 minuti di scene per esigenze  di produzione), ma il risultato finale è alquanto scialbo e, salvo qualche siparietto comico con Hardy protagonista e qualche scena action ben riuscita, non è possibile giudicare in maniera positiva il film,  e quindi mi accodo alle recensioni sostanzialmente negative giunte dai critici a stelle e strisce, di cui sono solito non fidarmi per esperienza regressa in ambito cinefumettistico. Tom Hardy prova a sostenere da solo tutto il film ma, sebbene la sua performance sia relativamente buona, non è abbastanza perché salvi tutta la baracca.


Curiosità: chi ha visto il film “Life” di Daniel Espinosa potrebbe essere portato ad avvalorare la tesi secondo la quale quello sia un prequel di Venom sotto mentite spoglie.
Ovviamente non mancano né il classico cameo di Stan Lee né le scene mid e post credit (due scene in totale, la prima delle quali veramente appetitosa).  
Venom è in programmazione nei cinema italiani da giovedì 4 ottobre 2018, distribuito da Sony Pictures Entertainment Italia con rating PG-13. 
Voto: 5-
Luca Cardarelli





giovedì 19 luglio 2018

SKYSCRAPER (2018) DI RAWSON MARSHALL THURBER [NO SPOILER]

[Quella che leggerete è una recensione scritta da chi ama i film catastrofici. Li ama il doppio se c’è The Rock. Avete presente San Andreas? E Rampage? Ecco, quelli.]


Tempo d’estate, tempo di action, tempo di “The rock” alias Dwayne Johnson che fa cose: salta, corre, picchia, salva e, bonariamente, sorride mostrando il bicipite tatuato e tutti corrono felici e contenti lasciandosi alle spalle uno sfondo apocalittico fatto di macerie e fiamme.
Abbiamo riassunto in tre righe praticamente il 90% dei film che vedono The Rock protagonista, non tanto per demolire la sua carriera (e che cosa puoi dire all’attore, attualmente, più pagato di Hollywood?), quanto per inquadrare il campo in cui agisce questo Supereroe 3.0 e iniziare a parlare di Skyscraper, film di cui è fiero protagonista, scritto e diretto da Rawson Marshall Thurber, al suo primo action, dopo commedie tra le quali spiccano Dodgeball, Come ti spaccio la famiglia e Una spia e mezzo (quest’ultimo film sempre con The Rock protagonista).


La trama del film, spoiler permettendo, è di una semplicità disarmante, quasi demoralizzante ma, visto che nessuno si aspettava nulla di diverso, su questo dettaglio si può benissimo soprassedere perché in questi film quello che conta è sicuramente altro, ad esempio scoprire cosa si inventerà The Rock per salvare capra e cavoli e sconfiggere i cattivi di turno, o la disgrazia di turno, o, come in questo caso, tutti e due.


La trama, dicevamo: ad Hong Kong è stato costruito il grattacielo più alto del mondo, supertecnologico e supersicuro (a detta del suo creatore), a prova di incendio, di maremoto, di terremoto e di qualsiasi altra calamità immaginabile. Il responsabile della sicurezza é Will Sawyer (Dwayne Johnson), un ex agente dell’FBI rimasto gravemente ferito durante un’operazione di salvataggio che gli costò una gamba e lo segnò profondamente anche nell’anima. Will Sawyer si troverà a combattere da solo contro una banda di malfattori che, per impossessarsi del prezioso tesoro celato all’interno del Grattacielo, genererà un incendio devastante mettendo in pericolo la vita della moglie Sarah (Neve Cambpell) e quella dei loro figli.


Skyscraper, a sentire gli addetti ai lavori, doveva essere una sorta di omaggio ad una certa corrente action anni ‘80/90, di cui fanno parte film come Die Hard – Trappola di cristallo e, per quanto riguarda le sequenza action, Mission: Impossible, ma ciò che ne è venuto fuori è un film scritto approssimativamente, diretto ancora peggio, nel quale tutto sa di già visto, e per questo ampiamente prevedibile, con all’interno una dose di scene da Facepalm/WTF che potrebbe risultare letale per qualsiasi persona dotata di un cervello con un numero di neuroni superiore a 12 (The Rock, con una gamba finta, si arrampica fino a in cima a una gru, prende la rincorsa e si lancia verso una finestra del grattacielo in fiamme. REALLY????). 


Inoltre, con un edificio in fiamme, nessuno, NESSUNO, nemmeno una persona, zero, nada, si azzarda a chiamare i pompieri (sì, lo so, a cosa servono i pompieri quando hai The Rock? Ma almeno farli arrivare sul posto e che diamine...). Tensione pari a zero, Plot Twist telefonatissimi e finale super scontato come i prezzi durante i saldi.  
Skyscraper sarà nelle sale dal 19 luglio, distribuito da Universal Pictures.
Voto: 4. 
Luca Cardarelli


giovedì 7 giugno 2018

JURASSIC WORLD - IL REGNO DISTRUTTO (2018) DI J.A. BAYONA [NO SPOILER]



A distanza di tre anni da Jurassic World (e di venticinque da Jurassic Park), lo spagnolo Juan Antonio Bayona ci riporta su Isla Nublar con Owen Grady (Chris Pratt), Claire Dearing (Bryce Dallas Howard) e tutti i dinosauri che abbiamo imparato ad amare e temere nei quattro capitoli precedenti. Isla Nublar, abbandonata dopo i fatti di tre anni prima, è sull’orlo dell’apocalisse a causa di un Vulcano tornato in attività. Tutti i dinosauri vivono liberi nella giungla e si sta lavorando per andare a recuperarli e salvarli da morte certa. La spedizione sull’isola però cela un losco piano architettato da Eli Mills (Rafe Spall) e Gunnar Eversol (Toby Jones) che metterà in pericolo l’intera umanità.


Innanzitutto è bene fare subito presente che quello di cui si sta parlando non è un film come tutti gli altri. Qui siamo davanti a un film che impone la sospensione dell’incredulità sin dal momento in cui se ne legge il titolo. Lo era Jurassic Park nel 1993, figuriamoci Jurassic World – Il regno distrutto nel 2018. Ma forse, nel caso della pellicola diretta da Bayona, si è un tantino passato il limite. Non entrerò nel dettaglio per non spoilerare nulla, ma fidatevi quando affermo che non bastano le dita di dieci mani per contare le scene che mi hanno fatto esclamare “Ma cosa?” durante la visione del film. Inoltre tutta la sceneggiatura non sembra avere nemmeno un punto (inteso come punteggiatura) apposto secondo una logica.


Dal punto di vista narrativo Jurassic World 2 è un vero e proprio colabrodo. Gli unici punti di forza di questo film sono le numerosissime citazioni degli episodi precedenti (colonna sonora inclusa), la veste grafica, in particolare i dinosauri sono stati realizzati veramente bene e non si ha mai la sensazione di essere di fronte a qualcosa di posticcio guardandoli, e alcune scene (due o tre, non di più) risultano molto ben orchestrate e danno un tocco dark (quasi gotico) al film. Per il resto non si salva nulla, a cominciare dal finale senza senso che lascia presagire un Jurassic World 3, con uno dei più telefonati colpi di scena della storia della cinematografia. 


Sì, ok, è un film con i dinosauri, nessuno si aspettava un film impegnato, ma ad ogni cosa c’è un limite, soprattutto pensando a quanto, per esempio, sia stato massacrato un film come Batman V Superman – Dawn of Justice per “Martha” (e  credo che abbiate tutti capito di cosa si stia parlando). Se il primo Jurassic World era sostanzialmente un “Back in the days” senza alcuna pretesa e abbastanza divertente (come non ricordare con un sorriso l’uomo che scappa tenendo in mano un Margarita?), il secondo invece è stato prodotto “credendoci veramente” ma, alla fine, ciò che ne esce è una supercazzola senza capo né coda.


Per concludere in bellezza, potete benissimo alzarvi dalla poltrona ed uscire dal cinema all’inizio dei titoli di coda, perché tanto la scena post credit è una delle più inutili e senza senso mai viste (e quindi in linea con tutto il film).
Jurassic World – Il Regno distrutto è al cinema da oggi, distribuito da Universal.
Voto 5-
Luca Cardarelli



mercoledì 23 maggio 2018

DEADPOOL 2 (2018) DI DAVID LEITCH [NO SPOILER]


Passata la sbornia da Avengers – Infinity War, la catena di montaggio denominata Marvel, anche se stavolta la Disney rimane in disparte e lascia spazio alla Fox, assembla e offre alla pubblica piazza il sequel del cinecomics più irriverente, sboccato, violento e citazionista che si sia mai visto: Deadpool. Se il primo film, datato 2016, contrapponeva ad un risicatissimo budget un film divertentissimo e cazzaro, il secondo, grazie al successo riscosso dal suo predecessore, bilancia quasi perfettamente tutti gli elementi risultando quasi al livello dei primi capitoli della saga ultradecennale degli Avengers firmata Marvel Disney.


Stavolta vedremo Wade Wilson/Deadpool (Ryan Reynolds) impegnarsi nel formare una squadra (la X-Force) per salvare un giovanissimo mutante, Russell Collins/Firefist (Julian Dennison), dal furioso Nathan Summers/Cable (Josh Brolin), tornato indietro dal futuro per ucciderlo, ma anche dal Preside (Eddie Marsan) dell’orfanotrofio dato alle fiamme dallo stesso Russell, inferocito per i maltrattamenti  infertigli.


Con fantasmagorico ritardo (sia rispetto all’anteprima stampa, sia all’uscita nelle sale) ho potuto assistere a questo film la cui attesa, diciamoci la verità, non è che mi creasse chissà quali scompensi ormonali. Diciamo che l’aspettavo con curiosità, ma nulla più.
Il cambio di regia da Tim Miller (più un addetto agli effetti speciali che un regista) a David Leitch (John Wick e Atomica bionda) regala a Deadpool 2 una fisionomia più classica rendendolo un cinecomics più canonico, un film che, come già anticipato, mantiene la sua natura stravagante ma, allo stesso tempo, risulta meno macchinoso, più fluido, coerente e, se si eccettua un finale leggermente arzigogolato, facile da seguire, senza però cedere dal punto di vista visivo e creativo.


Tutta la pellicola è un crogiuolo di citazioni cinefile e musicali, un concentrato di violenza (mai fine a se stessa) e battute goliardiche e politicamente scorrette, e fin qui, direte voi, nulla di nuovo. La novità sta nel fatto che Deadpool 2 trova nella coralità uno dei suoi maggiori punti di forza, e i personaggi aggiunti nel racconto, sia che si parli di buoni o cattivi, sono tutti dotati di una bella caratterizzazione (in particolar modo Cable e Domino, quest’ultima interpretata da Zazie Beetz) senza dimenticare Colosso, che ricalca in tutto e per tutto la performance offerta nel capitolo precedente. Inoltre risulta molto ben costruita la linea “romantica” del racconto e viene anche molto ben giustificato il messaggio “Deadpool 2 sarà un film per famiglie” sbandierato in fase promozionale.


Le due ore di durata scorrono via che è un piacere e non bisogna assolutamente muoversi dalla poltrona prima che venga spento il proiettore perché le scene mid-credit e post-credit sono quella che si dice “la ciliegina sulla torta”. In particolare, la scena mid-credit è assolutamente funzionale alla trama del film stesso, ma la scena post-credit é quanto di più fico sia mai stato visto in fatto di scene post-credit. Non voglio dilungarmi oltre perché altrimenti scadrei nello spoiler.
In conclusione si può benissimo affermare che Deadpool 2 sia un sequel assolutamente degno, se non migliore del suo predecessore, divertente, godibile e fuori di testa come, d’altra parte, lo è il suo protagonista. Il tutto impreziosito da una colonna sonora pazzesca.
Promosso, quindi, a pieni voti.
Voto: 8,5.
Luca Cardarelli





venerdì 18 maggio 2018

SOLO - A STAR WARS STORY (2018) DI RON HOWARD [NO SPOILER]


Dopo Rogue One – Star Wars Story, il primo spin-off della monumentale saga di Star Wars, arrivata oggi all’ottavo capitolo tra alti e bassi (dove gli alti sono i tre episodi della Trilogia originale, mentre i bassi sono gli altri tre della Trilogia Prequel, e in mezzo stanno i primi due episodi della Trilogia Disney, il settimo e l’ottavo, per l’appunto), eccoci arrivati al secondo film della saga degli spin off, sempre col marchio Disney impresso a fuoco, quello dedicato al personaggio più carismatico di tutti, o meglio tra i più carismatici di tutti, Han Solo.


Dopo uno sviluppo travagliato, a causa di disguidi relativi alla regia, originariamente affidata al duo formato da Phil Lord e Christopher Miller (alla fine accreditati solo come Produttori Esecutivi), sostituiti dopo poco tempo da Ron Howard per volere della Disney che non approvava modo di concepire il prodotto affidato loro (probabilmente, si dice, avevano dipinto in maniera troppo comica il personaggio principale. Ma La Disney aveva dato un’occhiata alla loro filmografia? Lego Movie, Piovono Polpette, 21 Jump Street...), finalmente Solo – A Star Wars Story ha visto la luce venendo presentato il 15 maggio 2018 nientemeno che durante la Kermesse cinematografica di Cannes, suscitando pareri abbastanza discordi tra i critici, i fan della saga e i semplici, per quanto informati, spettatori.


Ma andiamo per ordine.
Il plot è quanto di più semplice si potesse immaginare: si narrano le avventure, ambientate undici anni prima degli eventi narrati in Rogue One, e subito dopo quelli de La Vendetta dei Sith, che porteranno il diciottenne Han (Alden Ehrenreich) a conoscere Chewbacca (Jonas Suotamo) e Lando Calrissian (Donald Glover) e a pilotare il Millennium Falcon, la mitica nave intergalattica capace di percorrere in soli 12 (attenzione, non dite “in 14” altrimenti si indispettirà) Parsec la rotta di Kessel. Oltre i sopra elencati personaggi, vedremo anche il fuorilegge Tobias Beckett (Woody Harrelson), sua moglie Val (Tandie Newton), il primo amore di Solo, Qi’ra (Emilia Clarke), mentre il villain di turno sarà Dryden Vos (Paul Bettany), membro dell’Alba Cremisi, un sindacato criminale.


Il film inizia di corsa, senza una presentazione dei personaggi, o del personaggio principale. Nulla si sa sulle origini di Han, solo che è un ragazzino senza famiglia che vive truffando e derubando, e sogna di diventare un pilota. L’imberbe Ehrenreich ci prova ad essere un Han Solo credibile, ma manca di carisma, non si fa voler né bene né male, non entra nel cuore, non ha niente dell’Han Solo Harrisonfordiano, non ci somiglia nemmeno anatomicamente. E poi c’è Ki’ra, e anche lei esiste senza un passato, non sappiamo chi sia, da dove viene e che ruolo abbia, se non quello di rubare il cuore (AAAAWWWWW!!!) del giovane Han. Anche lei, oltre ad essere di bella presenza non regala nulla in più al film. Al contrario quello interpretato Woody Harrelson è un gran bel personaggio che ruba la scena un po’ a tutti ma, essendo un film dedicato ad Han Solo, la cosa stona un po’, non trovate?


Stesso discorso va fatto per il Lando Calrissian di Donald Glover, personaggio dalle potenzialità infinite, ridotto ad una sterile macchietta per non oscurare completamente l’inutile Ehrenreich, che dovrebbe primeggiare su tutti ma che il più delle volte si rivela più un futuro “Trinità” che l’abile contrabbandiere in grado di far innamorare la Principessa Leia.
La regia di Ron Howard risulta senza infamia e senza lode, tira dritto come la linea di un encefalogramma piatto e va dal punto A al punto B senza intoppi di sorta, ma non regala nessuno spunto interessante, nemmeno quando la sceneggiatura dei Kasdan si inventa dei telefonatissimi Plot Twist che fanno esclamare “Oh, quelle surprise!!!”. Inoltre nel film sono stati buttati dentro, come in un pentolone di zuppa sul fuoco, evidentissime scopiazzature citazioni di film cult del passato come Mad Max, Indiana Jones e non mancano ammiccamenti al genere western nelle scene dei duelli che vedono impegnato il giovane Han Solo, oltre alla scena della grande rapina al treno.


Tutto molto bello, ok, ma il film latita, non vi sono picchi emozionali che lo rendano indimenticabile, bensì tutto risulta fin troppo annacquato, trasparente, senza appeal. L’unica cosa difficile da mandare giù, e di questo sì, ce ne ricorderemo, è stata l’assoluta mancanza di un finale (ci sarà un sequel? Sì, no, forse, boh) e l’incomprensibile comparsa di un personaggio utile solo per far inumidire le parti basse dei fan della saga (compresi i libri e le serie animate) ma che alla maggior parte degli spettatori rende ancora più difficile la comprensione della storia che già prima non brillava di sicuro per scrittura e trasposizione su pellicola. Insomma, un grande “Meh” è quello che molti di noi hanno proferito borbottando all’uscita della sala, rispondendo alla domanda “Piaciuto?”. Probabilmente Solo – A Star Wars story è l’anello più debole di tutta la saga che è in procinto di sfornare il suo nono episodio e promette di continuare a “regalare” nuovi spin-off, a cominciare dall’annunciato film dedicato proprio a Lando Calrissian. La domanda è: ne varrà la pena?
Solo – A Star Wars story uscirà nelle sale italiane il 23 maggio 2018, distribuito da Walt Disney Studio Motion Pictures Italia.
Voto: 5.5
Luca Cardarelli








DOGMAN (2018) DI MATTEO GARRONE


Presentato in concorso al Festival di Cannes 2018 (e accolto in maniera molto positiva dalla critica) Dogman, il nuovo film diretto da Matteo Garrone (Gomorra, Reality e Il racconto dei Racconti), è tratto dai fatti risalenti al 1988 con al centro della scena il cosiddetto Canaro della Magliana, Pietro De Negri, nel film chiamato semplicemente Marcello, interpretato da Marcello Fonte, autore di efferati ed indicibili abusi e torture che portarono alla morte l’ex pugile dilettante Giancarlo Ricci, nel film chiamato Simoncino ed interpretato da Edoardo Pesce.


Iniziamo subito con il sottolineare che gli eventi dai quali ha preso spunto Matteo Garrone, che già per loro natura sono stati ricostruiti più volte da medici legali e autorità partendo dalle confessioni di De Negri, sono molto controversi e, forse per questo, risultano molto alterati nel film. Ma quello che preme analizzare è il film in sé, sia dal punto di vista tecnico che da quello emozionale. Non penso di esagerare se affermo sin da subito che Dogman è un capolavoro e, se non lo fosse, gli andrebbe comunque molto vicino. Innanzitutto mi aspettavo una pellicola dai contenuti molto forti, essendomi documentato - molto sommariamente - sulle vicende del “Canaro” - sì insomma, su wikipedia e youtube - ed in un certo senso è stato proprio così. Ma Garrone per fortuna non è Von Trier (a proposito, trepidante attesa per il suo nuovo film, The house that Jack built, anch’esso presentato a Cannes in questi giorni), e riesce nella difficile, per molti altri registi impossibile, impresa di lavorarti ai fianchi per tutta la durata della pellicola, per poi finirti con un gancio potentissimo al mento nella parte finale, dove alla violenza psicologica dovuta alla sua regia sublime, si aggiunge anche quella fisica portata dal racconto della tragica vicenda.


Un film senza colonna sonora e con dialoghi molto asciutti, dove però a suonare sono le immagini che dipingono con tinte neorealiste l’angosciante periferia romana che fa da cornice alla storia. Marcello è fondamentalmente un uomo buono, non uno stinco di santo, sia chiaro (è comunque un pregiudicato per reati minori oltre che cocainomane), che prova ad andare avanti con la sua attività di toelettatore per cani, ma vive in uno stato di continua vessazione per colpa di Simoncino, che si atteggia a boss di quartiere ottenendo sempre quello che vuole con le buone e, molto più spesso, con le cattive.


La bravura di Garrone è stata nel far emergere pian piano il lato “animalesco” di Marcello, caratterizzandolo in maniera sopraffina quasi esclusivamente mediante l’utilizzo di primi e primissimi piani intensissimi. Il film che ne viene fuori, nonostante le ambientazioni angoscianti, protagonisti brutti, sporchi, cattivi e molto borderline, nonché un plot essenziale, ai limiti del minimalismo, è comunque capace di mettere in subbuglio l’anima dello spettatore che rimarrà impietrito davanti al finale, non tanto per la crudezza delle immagini comunque sempre nei limiti della sopportabilità, quanto per gli sguardi allucinanti e allucinati catturati dalla macchina da presa, unico grande mezzo di comunicazione nelle mani di un sapiente quanto geniale manovratore qual è Matteo Garrone.


Qui si parla, quasi senza ombra di dubbio (perché comunque ci sarà anche chi non apprezzerà, teniamolo in conto) di uno dei migliori film italiani degli ultimi anni, se non il migliore, e non c’è Sorrentino che tenga.
Il film è in programmazione dal 17 maggio nei cinema italiani, distribuito da 01 Distribution in collaborazione con Rai Cinema.
Voto 9.5