Lo stavamo aspettando tutti, e finalmente il 14 dicembre 2016 è arrivato portandoci in dono uno dei film più attesi e chiacchierati dell'anno: Rogue One si è manifestato e noi tutti ci siamo lasciati travolgere dalla sua Forza che unisce la tradizione del franchise Star Wars all'innovazione della Star Wars Anthology, una serie Spin-Off di quella classica, giunta con The Force Awakens al settimo capitolo e in procinto di partorirne un ottavo (e un nono).
In questo primo capitolo scopriremo come la Ribellione si impossesserà dei piani per la costruzione della Morte Nera, dando di fatto il via alle vicende della Trilogia Originale ovvero gli Episodi IV, V e VI di Star Wars. Al timone stavolta troviamo Gareth Edwards, conosciuto per aver diretto Monsters nel 2010 e Godzilla nel 2014. Per la prima volta nella storia del Franchise targato Lucasfilm la colonna sonora non è stata affidata a John Williams, bensì a Michael Giacchino. Poco male, comunque: il tema è sempre quello, il cuore batte lo stesso.
Per evitare qualsiasi tipo di spoiler non vi scrivo nulla sullo sviluppo della storia, fatevi bastare le due righe scritte sopra.
Sin dall'inizio del film si ha la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di super - epico, come da aspettative. Le scenografie e le musiche sono semplicemente fantastiche e il cast - di cui Felicity Jones/Jyn Erso, Mads Mikkelsen/Galen Erso, Diego Luna/Capitan Cassian e Forest Whitaker/Saw Guerrera costituiscono le punte di diamante - si comporta più che egregiamente facendo quasi dimenticare i personaggi della Trilogia Originale.
Dopo buoni quaranta minuti di introduzione la scena si anima con le classiche sequenze di scontri aerei tra caccia imperiali e x-wings e terrestri tra Trooper e ribelli con gli immancabili pew pew a fare da colonna sonora aggiuntiva al tutto. Sarà un crescendo incredibile che porterà ad un finale da applausi.
Avevamo grosse aspettative riguardo a questo nuovo capitolo dell'Universo Star Wars e possiamo affermare senza paura che il film va oltre ogni rosea previsione. Ci si diverte, ci si agita, ci si commuove, si rimane con il fiato sospeso e incollati allo schermo per tutta la durata del film: è questo che volevamo e questo ci è stato dato. Veramente un ottimo lavoro sotto qualsiasi punto di vista.
A questo punto è d'obbligo essere ottimisti sia per quanto riguarda il prosieguo della Serie Classica che per quello della Star Wars Anthology, il cui secondo capitolo, previsto per il 2018, avrà come protagonista Han Solo.
Sul finire dell'anno, e quindi sotto le Feste, l'agenda delle anteprime si riempie di cinepanettoni (anteprime disertate scientemente), Blckbusters epocali (Rogue One - A Star Wars Story) e film di animazione come quello di cui vi parlerò oggi: Sing, proveniente dai creatori di Cattivissimo Me, Minions e Pets che fanno capo alla Illumination Entertainment - Universal Pictures, scritto e diretto dallo stesso regista di Guida Galattica per Autostoppisti enumerosi video musicali di Blur, Pulp, R.E.M, Fatboyslim e Radiohead:Garth Jennings.
La trama, semplice ma accattivante: Buster Moon, un Koala/direttore di Teatro sul baratro del fallimento, per salvare la baracca, si inventa una gara canora in stile X-Factor con un premio finale di 1.000 $, cifra che, a causa della sua maldestra segretaria, vedrà comparire due zeri in più sul volantino promozionale. Ovviamente il Teatro verrà preso d'assalto per le selezioni e quello sarà solo l'inizio di una scoppiettante avventura fatta di equivoci, gag esilaranti e storie familiari commoventi.
In una cornice Zoo-metropolitana che ricorda a tratti quella di Zootropolis, Sing cavalca l'onda dei Talent Show puntando molto sulla comicità e sugli stereotipi che accompagnano le figure degli animali protagonisti, inserendo qua e là citazioni cinematografiche che non potranno non infiammare i cuori cinefili degli spettatori più grandicelli e, allo stesso tempo, non dimenticandosi dei più piccoli (in platea tutti i bambini presenti si sono divertiti da matti), come pare, ultimamente, sia abitudine comune per quanto riguarda i film d'animazione (sì, mi riferisco ad Inside Out).
Il risultato è un film divertentissimo che parte subito con il piede sull'acceleratore per frenare un po' nella parte centrale e poi accelerare nuovamente nella sua mezz'ora finale, esplodendo in un bell'happy ending (d'obbligo) condito da qualche lacrimuccia di commozione.
I personaggi principali sono i sopracitati Koala Buster Moon, la sua Camaleontica Segretaria Matilda, i due Maialini, Rosita (casalinga disperata) e Gunter (con una esilarante parlata teutonica e comportamenti alla Lady Gaga), Johnny, cantante soul nonché Gorilla adolescente in procinto di entrare a far parte (controvoglia) della Gang di rapinatori del padre, la Porcospina Ash, rockettara in preda ad una delusione amorosa, l'elefantessa Meena che ha paura anche della sua ombra e, infine, il Topo Mike, praticamente un Cosplayer di Frank Sinatra...
Ma il premio Simpatia va ad un quintetto di Volpine giapponesi fuori concorso: sono 5, sono Volpi, sono giapponesi... Chi vuole intendere intenda.
Nella versione originale il cast di doppiatori è da urlo: Matthew McConaughey (Buster Moon), Reese Whiterspoon (Rosita), Scarlett Johansson (Ash), Seth MacFarlane (Mike) e Taron Edgerton (Johnny). Da recuperare, quindi, in V.O. sottotitolata.
Il film sarà visibile oggi, 14 dicembre 2016 (e solo oggi), in anteprima nazionale.
Dopo tanti Blockbuster e tanto cinema mainstream, torno a parlare di cinema indipendente grazie ad un film già passato a Cannes, categoria Un Certain Regard, e, recentissimamente, alla Festa del Cinema di Roma: CAPTAIN FANTASTIC, scritto e diretto da Matt Ross. Contrariamente a quello che potrebbe far presupporre un titolo così altisonante, non si tratta di un film su dei Supereroi, bensì su un padre che alleva i suoi cinque figli di diverse età, dai quattro anni ai diciotto, in mezzo alle foreste dell'America Settentrionale, istruendoli personalmente e sottoponendoli a severi allenamenti fisici, e soprattutto mantenendoli ben lontani dalla tanto odiata società consumistica americana con la quale, però, a causa di un evento tragico, saranno costretti ad entrare in contatto.
La storia è parzialmente autobiografica, visto che lo stesso regista ha dichiarato di essere cresciuto tra le Comuni della California e dell'Oregon, con una madre amante delle "Situazioni di vita alternative", lontano dalla tecnologia e dal consumismo americani. Matt Ross si chiede se scelte di questo genere possano essere intese come folli o follemente bellissime. Se non sia più pericoloso scalare una montagna o partecipare ad una partita di Football. Se non sia meglio abbandonarsi alla lettura che a intense sessioni videoludiche alla Playstation. E lo fa mostrando soprattutto il contrasto tra la visione del mondo di Ben e quella della famiglia di sua sorella. Si ha fino alla fine del film la sensazione che la prima sia bene e la seconda male. Ma, si sa, gli estremismi, sia da una parte che dall'altra, sono sempre da evitare. Bisogna sempre mediare, trovare una giusta via di mezzo, o meglio, un compromesso che faccia contenti tutti. In questa versione alternativa della favola del lupo, della capra e dei cavoli, escono vincitori tutti.
Se da una parte la storia coinvolge, la sceneggiatura scricchiola. Troppe domande si generano e a troppe di queste non viene data una riposta, lasciando in chi guarda una sensazione di incompiutezza abbastanza forte. Sembra quasi che il regista abbia curato nei minimi dettagli le scene di vita nei boschi (alcune veramente pregevoli) e si sia dedicato molto più superficialmente a quelle che, in realtà, avrebbero dovuto rappresentare l'essenza del film, grazie alle quali cioè avrebbe potuto dare le risposte alle domande che si era posto scrivendo il film. Quello che rimane è il solito alone utopico che avvolge i temi su cui si fonda questo film. Non a caso i figli di Ben conoscono a menadito la dottrina marxista de Il Capitale, l'opera Utopica per eccellenza.
Un film, dunque, riuscito a metà.
Captain Fantastic uscirà nelle sale italiane il prossimo 7 dicembre.
A quasi 87 anni Clint Eastwood di ritirarsi non sembra avere proprio l'intenzione. Alla lunghissima lista di film che portano la grande firma del Californiano dagli occhi di ghiaccio aggiungiamo Sully, tratto dalle memorie del pilota di linea Chesley Sullenberger scritte insieme al giornalista Jeffrey Zaslow intitolate Highest Duty: My search for what really matters. Non il solito bio-pic, Sully incentra la propria trama su un particolare avvenimento della vita di Sullenberger: l'ammaraggio nel fiume Hudson del volo US Airways 1549 del 15 gennaio 2009, primo e unico caso (finora) in cui nessuno tra equipaggio e passeggeri abbia perso la vita.
Il caro vecchio Clint è un maestro nel girare questo tipo di film (ricordiamo, tra i più recenti, J Edgar, American Sniper e Jersey Boys). E anche in questo caso ci regala un'opera fantastica, senza apparenti difetti, che, oltre ad illustrare impeccabilmente l'avvenimento in sé, ci riporta alla mente fatti che hanno segnato la storia americana e mondiale (leggi: 11 settembre 2001) con dei veri e propri quadri dipinti con la macchina da presa (fotografia, come al solito, curatissima), oltre a rappresentare anche una critica abbastanza feroce a quello che sono diventati oggi i media e all'inumanità che pervade i consigli di amministrazione e tutto ciò che ruota intorno a loro, contrapposta al comune pensare popolare e all'umanità dei protagonisti.
Se da una parte Sully (qui interpretato magistralmente da un sempre bravissimo Tom Hanks) viene considerato dalla gente un eroe che ha salvato la vita di 154 persone, la Compagnia Aerea per la quale lavorava in tutta risposta gli fa un processo imputandogli il fatto che, stando alle simulazioni di volo computerizzate effettuate dopo l'evento, vi fossero alternative molto più sicure rispetto all'ammaraggio, e quindi quella sua manovra, seppur andata a buon fine, era passibile di punizione e conseguente radiazione, e i media, accodandosi alla polemica, ci marciano alla grande.
Il film è un concentrato di emozioni, immagini perfette, per non dire sublimi, dialoghi profondi e mai scontati. Un'ora e mezza in cui distogliere l'attenzione dallo schermo è praticamente impossibile, tanto è semplice e chiara la narrazione degli eventi. Tom Hanks e Aaron Eckhart (che interpreta il secondo ufficiale del volo Jeff Skiles) sono calati in maniera pressoché perfetta nei personaggi e reggono benissimo la scena, quasi interamente a loro dedicata, e risultano altrettanto perfetti anche dal punto di vista psicologico.
Clint Eastwood va diretto al punto, senza inutili orpelli narrativi, e ci offre un'opera (primo film, tra l'altro, girato interamente in IMAX) asciutta, pulita, scorrevole, ma che colpisce esattamente laddove deve colpire, al cuore e alla mente. Chi si aspetta di rivedere in Sully un nuovo Flight (di Robert Zemeckis con Denzel Washington) può anche iniziare a mettersi il cuore in pace perché Sully gli è nettamente superiore praticamente sotto ogni punto di vista..
Il film è da oggi nelle sale e siete caldamente invitati ad andare a vederlo perché è semplicemente meraviglioso.
Ed eccoci all'anteprima più interessante del mese di Novembre.
Animali Notturni, candidato al Leone d'Oro e vincitore del Leone d'Argento (Gran Premio della Giuria) all'ultima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, porta in scena per mano del Regista/Stilista Tom Ford (qui anche sceneggiatore e produttore) le vicende narrate nel romanzo Tony e Susan di Austin Wright pubblicato nell'ormai lontano 1993.
Susan (Amy Adams), una gallerista con un matrimonio fallito alle spalle, riceve dal suo ex marito Edward(Jake Gyllenhaal) la bozza del romanzo che sta per pubblicare e che ha dedicato espressamente a lei. Molto incuriosita, Susan si immerge nella lettura...
Con la trama ci fermiamo qui, dato che sarebbe molto arduo proseguire evitando gli spoiler.
Non avendo mai visto A Single Man, il film grazie al quale Tom Ford si è rivelato al Mondo del Cinema, ero completamente ignaro di quale fosse il suo stile. Dopo la visione di Animali Notturni, però, me ne sono fatto un'idea. Devo innanzitutto ammettere di esserne rimasto folgorato, quasi come quando conobbi, cinematograficamente parlando, Nicolas Winding Refn grazie a Drive.
In Animali Notturni vi è una quantità di riferimenti ad altri film, al altri generi, ad altri registi, impressionante. Nella regia si rivede David Lynch, la colonna sonora fa subito subito pensare nientemeno che ad Alfred Hitchcock e, infine, le ambientazioni e i colori portano alla mente, neanche a farlo apposta, proprio Nicolas Winding Refn. La storia, che si dipana su due piani narrativi (la vita "reale" e quella raccontata nel romanzo che Susan sta leggendo), mi ha letteralmente incollato allo schermo per tutta la durata del film, circa due ore, minuto più, minuto meno.
Ogni personaggio è rappresentato in maniera molto approfondita, a cominciare da Susan, una Amy Adams semplicemente perfetta, passando per Edward - Jake Gyllenhaal da Lo Sciacallo in poi non ha più sbagliato un colpo - e arrivando a Michael Shannon che, grazie a quest'ultima sua interpretazione, pare sia in odore di Nomination. Ma i tre protagonisti principali non sono gli unici a meritare le lodi: anche un quasi irriconoscibile Aaron Taylor Johnson, al suo primo ruolo in un film d'autore (lo ricordavamo infatti quasi solo per blockbuster come Kickass, Godzilla e Marvel's The Avengers - Age of Ultron), risulta perfetto nella parte assegnatagli (e non posso scrivere altro).
Un film, Animali Notturni che, sin dalla primissima sequenza, fa intendere che quello che sta per iniziare non è il solito Thriller telefonato, ma un'opera d'arte complessa, affascinante, scioccante e disturbante. Vi rimarrà nella mente molto a lungo, come una magnifica ossessione.
Da vedere e rivedere. Sul podio dei migliori tre film del 2016.
Animali Notturni uscirà nei cinema italiani il 17 novembre. Vi consiglio di non perderlo.
31 ottobre, Notte di Halloween: Doppia recensione HORROR!
Giusto quattro giorni fa ho ricevuto il dvd di Halloween Night e, molto avidamente, l'ho subito liberato dall'involucro della confezione (omaggio di Koch Media) e inserito velocemente nel lettore di casa, ingolosito anche dal fatto che The Houses October Built (questo il titolo originale) è stata nel 2014 la pellicola vincitrice nella categoria Midnight X-treme di uno dei più prestigiosi Festival cinematografici a tema Horror e Fantasy: il Sitges Film Festival.
Halloween Night è un found-footage/road/slasher movie nel quale vediamo dei ragazzi andare a bordo di un camper a zonzo per l'America alla ricerca di emozioni forti visitando le cosiddette Haunted Houses (case stregate), cosa che, a quanto pare, è una delle attività che vanno per la maggiore tra i giovani americani nel periodo di Halloween. Trattandosi di un Horror, la fregatura (per i ragazzi) è dietro l'angolo. Visiteranno la casa sbagliata e finiranno in guai molto seri.
Trama classica, dunque: compagnia di ragazzi, un po' di alcol, un po' di droga, un po' di sesso e, ci si aspettava, tanta paura e tanto sangue, a giudicare dalla Cover del dvd.
Ma le aspettative, purtroppo, sono state largamente disattese. Infatti, a parte qualche scena da Jump-Scare (ma nemmeno poi così tanto) tutto il film è un susseguirsi di dialoghi e visite a quelle che sembrano le classiche case stregate dei Luna Park. Si aspetta e si aspetta, per quasi tutta la durata del film (87 minuti). A dieci minuti dalla fine si ha la tanto agognata svolta Slasher che si risolve, se vogliamo, in una ending nemmeno poi così raccapricciante. Si poteva e si doveva osare molto di più. Alla fine del film la cosa più inquietante è stata pensare quali altri film abbiano conteso il premio a questo al Sitges nel 2014. Probabilmente erano tutti di Uwe Boll.
Voto: 5-
Il secondo film di cui voglio parlarvi è Goodnight Mommy, scritto e co-diretto dal duo austriaco Severin Fiala e Veronika Franz.
Questo è un film davvero, davvero, davvero strano ed inquietante.
Due piccoli fratelli gemelli, Elias e Lukas, vivono in una villa immersa nella più desolata campagna insieme alla madre, appena rientrata da una clinica dopo un intervento di chirurgia plastica al volto.
I due bambini notano un profondo cambiamento nel carattere della madre, che risulta molto più severa e autoritaria, talmente tanto da far dubitare i due sulla sua reale identità.
Col susseguirsi dei giorni le liti tra i figli e la madre diverranno sempre più accese...
Se uno leggesse solo la trama di questo film penserebbe che sia un normale film drammatico come ce ne sono tanti. E invece, guardandolo, si troverà di fronte ad un Thriller/Horror Psicologico che, più va avanti, più logora la tranquillità mentale dello spettatore fino a indurlo a sperare che finisca, tanto risulterà opprimente il senso d'ansia portato dalle sue scene.
Eppure non vi sono strabilianti effetti speciali o visivi, scene splatter o i sopracitati Jump-scare: l'inquietudine è data dal modo in cui il film è girato, dai silenzi, dall'ambientazione sì luminosa ma al tempo stesso opprimente di una casa persa nel nulla, e dal fatto che fino alla fine ci si chiede chi sia veramente chi, vivo o morto, se sia tutto un sogno o semplicemente la realtà di una famiglia allo sfascio. Un film, Goodnight Mommy, che rimarrà impresso nella vostra mente per molto tempo. Come è successo a me.
Di più non vi dico perché il rischio Spoiler è altissimo.
Amici, oggi vi racconto dell'anteprima, ma che dico anteprima - ANTEPRIMONA!!! - alla quale, fortunatamente, sono riuscito ad accreditarmi (riuscendo a strappare anche un "sì" per la mia Gentil Consorte, accanita fan del Marvel Cinematic Universe): Doctor Strange (o Dottor Strange, all'italiana) ovvero uno dei film più attesi della stagione cinematografica autunno-inverno 2016 che culminerà sotto Natale con Rogue One - A Star Wars Story. Dopo aver fatto incetta di gadget (spillette, agendina, cartolina e, udite udite, poster-locandina promozionale), inforchiamo gli occhialetti per la visione 3D e, in compagnia di una platea composta da blogger e youtuber di grido come Fabio Rovazzi (si, quello di "Andiamo a comandare") e Victorlaszlo88, ci addentriamo in quello che era annunciato come il più bel film della Marvel dai tempi di Iron Man e The Avengers.
Scritto e diretto da Scott Derrickson (Ultimatum alla Terra, Sinister e The Exorcism of Emily Rose), dopo una travagliatissima genesi durata più di un decennio, nel quale si sono succeduti diversi sceneggiatori, registi e case di produzione, Marvel's Doctor Strange rappresenta la trasposizione su pellicola dell'omonima serie a fumetti ideata da Steve Ditko (che è anche co-creatore insieme a Stan Lee di SpiderMan).
Il protagonista è il quotato Neurochirurgo Stephen Strange, interpretato dal grandissimo Benedict Cumberbatch, tanto abile nel maneggiare il bisturi, quanto egocentrico e arrogante e non esattamente aperto ai rapporti con il prossimo. Dopo un terribile incidente automobilistico perde parzialmente l'uso delle mani a causa dei danni provocati dal alcune schegge di lamiera durante lo schianto. Dopo aver saputo che tale Jonathan Pangborn (Benjamin Bratt), dopo aver soggiornato per diverso tempo presso dei santoni in Tibet, aveva riacquistato l'uso delle gambe pur essendo stato dichiarato paraplegico senza possibilità di guarigione dai medici, Stephen Strange decide di imitarlo e si reca in Asia, dove entra in contatto con una sorta di setta magica al cui comando vi è l'Antico (Tilda Swinton) coadiuvata (o coadiuvato, non viene mai specificato esattamente il suo sesso di appartenenza) da Karl Mordo (Chiwetel Ejiofor) e Wong (Benedict Wong), e contro cui si scaglia l'ex allievo Kaecilius (Madds Mikkelsen).
Introdotta la storia non resta che analizzare i contenuti tecnici e stilistici di questo film.
Iniziamo subito con gli effetti visivi: letteralmente meravigliosi. Alcune scene ricordavano il celebre Inception di Nolan, altre 2001: Odissea nello spazio, altre ancora Matrix, ma tutto si può dire tranne che non siano state realizzate impeccabilmente. La sceneggiatura, d'altro canto, si presenta un po' piatta e, a tratti, confusionaria per il tipo di film per la quale è stata scritta, ma probabilmente questa sensazione viene acuita dal fatto che è visibile anche agli occhi di un cinefilo dell'ultimo minuto che la pellicola sia stata ampiamente mutilata in più punti, almeno per buoni venti/trenta minuti di scene che non sappiamo nemmeno se verranno inserite in una ipotetica Extended Version del film per il circuito home video, dato che la Marvel non ha mai messo in atto questa odiosa tattica a fini commerciali (al contrario della Dc-Warner, come nell'eclatante caso della Ultimate Edition di Batman V Superman - Dawn of Justice).
Ci sono degli stacchi troppo netti tra molte scene che mettono in seria discussione la logicità del racconto. Ad esempio la trasformazione da Stephen Strange, egocentrico ed arrogante Neurochirurgo, a Doctor Strange, Maestro Mistico. Tutto molto, troppo veloce. Inoltre vi è sempre il solito problema legato alla scrittura dei Villain di casa Marvel, caratterizzata quasi sempre da un'introduzione accattivante che sfocia, però, in personaggi poco carismatici (eccezion fatta per Loki, sia ben chiaro) e quasi per niente inquietanti (non siamo ai livelli del Mandarino di Iron Man III, ma poco ci manca). Qui si aveva a disposizione un carico da 90 come Madds Mikkelsen (pensiamo solo a Casino Royale o alla serie Hannibal), ma le sue potenzialità sono state sfruttate solo in minima parte. Niente da dire invece sul personaggio principale, Doctor Strange: Benedict Cumberbatch è risultato tagliatissimo per questa parte e anche a livello di scrittura le imperfezioni sono quasi assenti, come, del resto, lo sono per il personaggio de L'Antico interpretato da una Tilda Swinton mai tanto androgina come in questo caso (non a caso David Bowie la nominò in tempi non sospetti sua unica degna interprete in un eventuale Bio-Pic su di lui).
Altro tasto dolente: la colonna sonora, curata da Michael Giacchino, che non è certo l'ultimo arrivato. Anonima, quasi afona, dimenticata in men che non si dica dopo la fine del film. Molti affermano il contrario, ma da quando la Disney ha acquisito la Marvel, il fil rouge per quanto riguarda le colonne sonore dei film del MCU è sempre stato l'assoluto anonimato. E non mi riferisco solo ai Temi principali, ma a tutto il comparto musicale facente parte dei film. Non se ne viene a capo.
Risultano invece impossibile da criticare negativamente le scene di lotta: coinvolgenti, ben girate e ottimamente inserite all'interno del film.
Fantastiche anche le scene relative ai viaggi dimensionali e gli sdoppiamenti corpo-anima che sono letteralmente da pelle d'oca. Non mi vengono (a quest'ora della notte, quasi mattino) altri termini per descriverle. Raramente ho assistito scene dotate di tale carico emozionale. In particolare i primi dieci minuti di film sono... WOW!!!
Sono state inserite anche due scene post-credit: una dopo i titoli di coda animati, l'altra dopo quelli su sfondo nero. Quindi uscite dalla sala solo dopo lo spegnimento dei proiettori.
Alti e bassi si bilanciano, dunque, quasi perfettamente in questo che, pur con tutti i suoi difetti, rimane comunque un ottimo prodotto di intrattenimento che fan ben sperare nella prosecuzione della saga cine-fumettistica del Marvel Cinematic Universe.
Al cinema da oggi, 26 ottobre 2016.
Voto: 7,5 (mi aspettavo molto di più, sono sincero), +1 per la mia Marvel Moglie.
Questo 2016 si rivela un anno ricco di sorprese per il cinema italiano. Soprattutto per il cinema di genere, italiano. Già in primavera avevamo esultato per il successo e per l'ottima fattura del Cinecomic a tinte crime/noir Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, premiatissimo agli ultimi David e inserito nella lista dei papabili per la selezione italiana delle pellicole nostrane da proporre all'Academy (alla fine l'ha spuntata Fuocommare di Gianfranco Rosi, Orso d'Oro a Berlino). Ora, in autunno inoltrato, ci ritroviamo ad esultare ancora più accanitamente per questo Mine, film scritto e diretto dagli italianissimi Fabio Guaglione e Fabio Resinaro (che nei credits compaiono come Fabio & Fabio), ma che si è avvalso di una co-produzione italo-ispanico-americana. Ammetto che quando mi capitò di vedere il trailer al cinema sobbalzai sulla poltrona perché, avendo già visto Piége (Passo Falso) di Yannick Saillet, non riuscii a scorgere alcuna differenza sostanziale tra i due film. Ma un conto è il trailer, che dura un minuto e mezzo, e un altro è il film, che di minuti ne dura 106. Ebbene, l'unica cosa che i due i film hanno in comune sono l'ambientazione nel deserto e il fatto che un soldato si accorga di avere messo il proprio piede su una mina. STOP.
La trama, come si può intuire, è abbastanza semplice: i due marines Mike Stevens (Armie Hammer) e Tommy Madison (Tom Cullen) sono impegnati in una missione nel deserto africano con lo scopo di eliminare un terrorista. Non riuscendo a portare a termine la missione perché individuati dalla scorta del loro obiettivo, scappano attraverso il deserto, confidando nei soccorsi. Arrivati ad un'ora dal primo villaggio sulla loro strada, rimangono intrappolati in un campo minato: Tommy salta su una mina perdendo entrambe le gambe, mentre Mike si accorge di averne pestata una e riesce a bloccarsi senza farla esplodere. Come se non bastasse, via radio Mike apprenderà dell'impossibilità da parte dei soccorsi di giungere sul posto non prima di 52 ore a causa delle tempeste di sabbia che ne rallentano l'incedere...
Avete presente quando dicono che in punto di morte tutta la vita ti scorre davanti agli occhi? Ecco, ciò che Mine ci offre può essere benissimo inteso così. Fabio e Fabio, infatti, non vogliono semplicemente raccontarci se e come il marine Mike riuscirà ad uscire dal guaio in cui si è, suo malgrado, cacciato. Ma vogliono indagare la sua mente, la sua vita, le sue percezioni durante le 52 e più ore (racchiuse in poco meno di due, sia chiaro) che passerà fermo, quasi immobile, nel deserto, alla mercé di intemperie, animali feroci, allucinazioni, deliri dovuti alla disidratazione e alla disperazione che questa situazione porta con sé. E lo fanno in maniera pressoché perfetta, catturandoci completamente, spaventandoci, a volte persino facendoci sorridere o portandoci quasi alla commozione e alle lacrime. A volte si fa fatica a distinguere l'allucinazione dalla realtà e si rimane un po' interdetti per come il duo di registi ha abilmente giocato le proprie carte, lasciandoci un po' in sospeso, ma chiarendoci le idee sul finale, un finale degno del gran film che Mine è. Grandissima prova sia per quanto riguarda la regia, la scrittura (provate voi a riuscire a mantenere incollati gli spettatori allo schermo avendo a disposizione un solo personaggio, per di più in mezzo al deserto) e l'interpretazione di un gigantesco Armie Hammer. Se non l'avete ancora visto, spegnete il pc e correte al cinema!!!
Rieccomi, è finalmente arrivato il momento di parlare di Woody Allen e del suo nuovo, ennesimo Film (mi ha sempre impressionato la capacità di quell'uomo di sfornare una media di due/tre film all'anno) da oggi nelle sale italiane e già presentato durante l'ultimo Festival di Cannes.
Attendevo abbastanza questo Café Society soprattutto per riuscire a levarmi dal palato quel sapore amarognolo che avevano lasciato i precedenti MAGIC IN THE MOONLIGHT e IRRATIONAL MAN, che saranno anche stati apprezzati dalla maggior parte di coloro che li hanno visti, ma da queste parti non hanno riscosso molto successo, per dirvela in maniera eufemistica. Un altro motivo per i quale aspettavo di vedere questa pellicola era costituito dal cast: Steve Carell e Jesse Eisenberg ultimamente li avevo parecchio apprezzati (per La grande scommessa il primo e per Batman V Superman ed American Ultra il secondo) e volevo vedere come se la sarebbe cavata Kristen Stewart, attrice che mi ha sempre detto poco o nulla. E poi c'era anche Blake Lively, che reputo oltre che bellissima anche bravissima.
Ma veniamo a noi. La trama, prima di tutto.
Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg), vive a New York con i suoi genitori. Decide di partire per Hollywood e seguire le orme di suo zio Phil (Steve Carell), uno dei più famosi e potenti produttori cinematografici della Hollywood degli anni '30. Questi, dapprima riluttante all'idea, decide di prenderlo a lavorare per sé. Oltre al lavoro, Bobby trova anche l'amore di Veronica (Kristen Stewart), presentatagli dallo zio e che decide di sposare e di portare a New York, abbandonando così gli ambienti pomposi e sfavillanti di Hollywood in favore di una vita più spirituale. Ma le cose non con "Vonnie" non vanno per il verso giusto e Bobby torna da solo nella Grande Mela e prende in gestione con il fratello gangster Ben (Corey Stoll) un Night Club dove conoscerà un'altra Veronica (Blake Lively) e poi... Guardatevi il film.
A bilanciare una trama non proprio originalissima, ci sono le ottime interpretazioni dei protagonisti (Eisenberg e Carell su tutti), dialoghi brillanti, siparietti comici esilaranti, una fotografia fatta di tonalità "seppia" che immerge letteralmente lo spettatore all'interno della Hollywood degli sfavillanti anni '30, l'ironia sempre pungente rispetto a temi come "l'essere ebrei in America, ma soprattutto ad Hollywood", le non troppo velate critiche al mondo del cinema Made in Hollywood (non solo anni '30), e una visione molto "Hipster" della vita per sua natura altrettanto contraddittoria (no, non ipocrita, solo un po' contraddittoria).
Ma si sa, questo è Woody Allen. Prendere o lasciare. Stavolta l'occhialuto regista è riuscito conquistarmi, sebbene il film, alla fine, non si discosti così tanto dai precedenti due. L'ora e mezza di durata vola letteralmente e si esce dalla sala soddisfatti e sorridenti. Unico neo, Kristen Stewart che nemmeno stavolta è riuscita a togliersi dalla faccia quella perenne espressione a metà strada tra l'infastidita e l'incazzata, anche quando sorride.
Buonasera a tutti. Ieri ho avuto l'onore (o l'onere) di partecipare alla proiezione in anteprima del remake di uno dei più famosi Pepla della storia del cinema, Ben - Hur di William Wyler (che a sua volta era già un remake di un film precedente, nonché adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo scritto da Lew Wallace), premiato con 11 premi Oscar, con un cast che vedeva in Charlton Heston la sua punta di diamante e nel quale compariva pure un giovane Sergio Leone in qualità di aiuto regista nella seconda unità per quanto riguarda la ultra celeberrima corsa delle bighe nell'arena.
Le aspettative erano già bassissime (quanti remake sono stati migliori o, quanto meno, pari ai film originali, escludendo bombe cinematografiche tipo Scarface di De Palma?), per non dire che partivo prevenutissimo, forse come non mai. Già il fatto che la durata del film fosse stata ridotta del 50% rispetto all'originale mi aveva fatto venire qualche dubbio sulla validità dell'opera. Per non parlare del la scellerata scelta di proiettarlo in 3D, tecnologia inutile e dannosa per lo spettatore che nove volte su dieci esce dalla sala col mal di testa (direi anche basta!!!). Il cast, se si escludono Morgan Freeman e Toby Kebbell (Rocknrolla e il reboot de I Fantastici 4), è composto da perfetti sconosciuti, a partire dal regista... Ah no, scusate, Timur Bekmambetov aveva già diretto, tra gli altri, anche La leggenda del cacciatore di Vampiri... Minuto di silenzio...
Ma torniamo a Ben-Hur. La trama è la stessa del film di Wyler, o quasi... Tipo che Giuda Ben Hur, (Jack Huston) dopo essere stato tradito dal fratello adottivo Messala (Toby Kebbell), arrestato dai romani e mandato a remare su una galea per 5 anni, durante una battaglia riesce a divincolarsi dalle catene e si affida alle acque del mare che lo portano dritto dritto nelle braccia di uno sceicco coi dreadlocks (???) impersonato da Morgan Freeman il quale lo addestra per bene e gli suggerisce di sfidare Messala nella corsa con le bighe per ottenere la sua tanto agognata vendetta.
Non mi soffermo sulla scelta di sostituire un console romano con uno sceicco, né sulla inespressività che pare abbia contagiato tutti gli attori facenti parte del cast perché sarebbe come sparare sulla croce rossa ferma a lato strada con una gomma a terra. Vorrei solo che sappiate che con questo Ben - Hur sono riusciti a banalizzare qualsiasi elemento: sceneggiatura ridotta all'osso, regia e recitazione anonime, fotografia da film tv della peggior specie, CGI di pessima fattura (e quando scrivo pessima, intendo peggio dei primi film della The Asylum), costumi da mani nei capelli (ma dove li hanno recuperati, da H&M?) e una colonna sonora per niente coinvolgente e roboante, come si confarebbe ad un film del genere.
Bocciato su tutta la linea, ad eccezione forse delle sequenze delle battaglie navali e dei primi piani su Ben Hur schiavo massiccio e incazzato, che per un secondo mi hanno fatto sperare ad una svolta positiva del film, e invece... NIENTE, anzi IL NULLA ASSOLUTO.
Chi fosse in una fase masochistica della sua vita, potrà andare a vedere al cinema questo capolavoro al contrario dal 29 settembre.
Voto: 3.
Luca Cardarelli
Nota di colore: sarà forse che ero stanco e non avevo dormito molto la notte tra l'altro ieri e ieri, ma proprio su quella che doveva essere la scena principale di tutto il film, ovvero la corsa con le bighe, sono caduto in un sonno profondo dal quale mi sono risvegliato un attimo dopo il trionfale finale della gara.
Chi legge le recensioni a fumetti di Leo Ortolani si ricorderà della vignetta che lo ritraeva mentre era in coma durante "Immortals" e, una volta svegliato dall'addetto delle pulizie del cinema, gli domandava "Eh, come, chi ha fatto palo?". Ecco, più o meno è andata così...
Si ringrazia Leo Ortolani per la vignetta e per l'ispirazione.
Ciao Ragazzi, vi presento un evento molto interessante che vedrà tra i protagonisti un mio caro amico al suo esordio cinematografico, JOSEPH NENCI, del quale allego il comunicato stampa ufficiale:
Venerdì 26 agosto, dalle ore 22.00, all’interno dello spettacolo Psychiatric Circus che si svolgerà presso il 105 Stadium di Rimini, il regista Joseph Nenci e la sua troupe presenteranno ufficialmente in anteprima italiana il Teaser-Trailer del Film Horror/Thriller psicologico scritto e diretto dallo stesso Nenci, dal titolo She, D.I.D., girato interamente tra Rimini e la Repubblica di San Marino. Durante la presentazione, saranno svelati alcuni retroscena del backstage di produzione del lungometraggio cinematografico, in uscita nelle sale cinematografiche entro il 2017.
Lo spettacolo Psychiatric Circus, per la seconda volta in scena a Rimini con all’attivo più di 2.000.000 di spettatori è un evento terrificante, irriverente ma al tempo stesso…divertentissimo; ambientato negli anni Cinquanta, Psychiatric racconta la vita all’interno del manicomio cattolico di Bergen, gestito da Padre Josef, dottore e direttore, e dalle sue fedeli suore. E’ un evento psicotico, un viaggio nella follia, un luogo in cui il senso delle cose è totalmente capovolto.
Ed è proprio questa "dissacrante" alchimia che ha unito lo spettacolo di novueau cirque Psychiatric alla presentazione del film, anch’esso un delirante percorso ai limiti tra il sacro e il profano nei meandri della follia e degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, dove spazio e tempo sembrano non avere forma definita. Per l’occasione, sarà allestita una mostra personale del Fotografo Chris Morri, che presenterà alcuni scatti dalle tinte Horror dedicati al Film.
Vi allego anche un piccolo Teaser del Film che avevo già pubblicato antecedentemente.
Mi raccomando, se siete in zona, fate un salto e andate ad assistere allo spettacolo!!! Per qualsiasi info potrete accedere al sito ufficiale del film shedidthemovie.com, al sito jphproduction.com o andare sulla pagina Facebook JPH PRODUCTION.