Visualizzazioni totali

Sezioni

mercoledì 5 febbraio 2020

BIRDS OF PREY E LA FANTASMAGORICA RINASCITA DI HARLEY QUINN (2020) DI CATHY YAN


Il primo cincecomic dell'anno ad opera di Warner/DC continua la serie di Standalone iniziata con Aquaman e Shazam e che proseguirà con il secondo film dedicato a Wonder Woman (WW84) e sembra confermare che ormai il DCEU Snyderiano è solo un lontano ricordo, o meglio, un progetto definitivamente accantonato. 
Birds of prey, che può essere considerato una sorta di sequel/spin off di Suicide Squad (film che ha fortemente diviso critica e pubblico tra estimatori e denigratori violenti), è un film tutto al femminile, in cui spiccano la regista Kathy Yan, conosciuta per Dead Pigs, film vincitore del premio speciale della giuria per la miglior performance al Sundance Film Festival del 2018, e Margot Robbie (Harley Quinn), attrice consacratasi definitivamente grazie alla sua partecipazione a The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese. Non meno importanti, comunque, sono le partners in crime di Harley Quinn, Black Canary/Dinah Lance interpretata da Jurnee Smollett-Bell, Cacciatrice/Helena Bertinelli interpretata da Mary Elizabeth Winstead (la Ramona Flowers di Scott Pilgrim vs the World) e Cassandra Cain (Ella Jay Basco). A completare il cast, Rosie Perez nei panni della detective Renee Montoya e Ewan McGregor in quelli di Roman Sionis/Black Mask, ovvero il Villain.


Dopo gli eventi narrati in Suicide Squad, Batman ha lasciato Gotham City in mano alle gang criminali. Harley Quinn è stata lasciata da Joker e vive in un appartamentino conducendo la vita di una delinquente qualsiasi sempre a corto di soldi. Roman Sionis è il boss della sua zona e possiede un night club nel quale lei passa la maggior parte delle serate esibendosi in sexy lap dance e prendendosi sbornie clamorose. Quando Dinah Lance, la cantante del Night club nonché autista personale di Roman Sionis, le salva la vita, entrambe entrano in un vortice di eventi che le porterà a unirsi contro Sionis, contando anche sul supporto di Cacciatrice/Helena Bertinelli, personaggio in cerca di vendetta dopo l'uccisione della sua intera famiglia, con lo scopo di salvare la vita della ladruncola del quartiere, Cassandra Cain, entrata in possesso di un prezioso oggetto a cui Sionis tiene particolarmente. 


Dopo l'uscita dei trailer le aspettative nei confronti di questo film non erano sicuramente tra le più rosee, forse a causa dei commenti sminuenti l'intero DCEU, in particolar modo il Suicide Squad di Ayer, o anche per l'anonimato che contraddistingueva i trailer stessi. Ma dopo la visione del film, che dura 109 minuti, possiamo tranquillamente affermare che Birds of Prey è uno dei migliori cinecomic di casa Warner DC e altrettanto tranquillamente possiamo affermare che sia anche migliore di un buon 75% dei film Disney/Marvel e Fox usciti negli ultimi anni. Le motivazioni? Presto dette: 
A) il film ha un ritmo infernale dal primo all'ultimo minuto; 
B) La violenza e la crudezza delle scene (film Rated R in America) non sono mai fini a se stesse anzi, sono molto ben contestualizzate e soprattutto c'è una trama degna di questo nome (ogni riferimento, in negativo, a Deadpool è puramente voluto); 
C) la sceneggiatura è semplice ma solida; 
D) la regia è pulita, efficace e semplice, le numerose sequenze action sono veramente ben realizzate e i combattimenti hanno delle coreografie magnifiche;
E) benché il film duri meno di due ore, tutti i personaggi sono introdotti più che bene a dispetto delle poche righe di sceneggiatura occupate dalle loro storie. 
F) la colonna sonora, al ritmo di rock, rap e heavy metal, si abbina benissimo al tipo di film che è Birds of Prey;
F) siamo davanti al primo film Girl Power veramente ben riuscito. 


Non credo sia necessario aggiungere altro. Birds of Prey è un film ben fatto, divertente e violentissimo con dialoghi a volte molto scurrili, non esattamente adatto a un pubblico di bambini, anche se in Italia non uscirà con il VM14 per questioni meramente economiche, ma merita sinceramente una visione (in V.O. magari) Il film approderà nelle sale italiane a partire dal 6 febbraio 2020, distribuito da Warner Bros Pictures. 
Voto: 8,5.
Luca Cardarelli


giovedì 16 gennaio 2020

THE LODGE (2019) DI V. FRANZ E S. FIALA


La prima proiezione stampa del 2020, per quanto mi riguarda, mi porta nell'insidioso territorio del genere thriller/horror, che tante soddisfazioni ha regalato nel 2019 (Midsommar, Us, Crawl), ma nello stesso tempo è stato foriero di altrettanto numerose delusioni (film talmente orripilanti da non meritare nemmeno la menzione del titolo). Premettendo sin da subito che The Lodge appartiene alla prima schiera di film sopra citata, ve ne esponiamo brevemente, a grandi linee e senza alcun tipo di spoiler la trama: l'azione si svolge quasi interamente all'interno di uno chalet di montagna isolatissimo dove Richard (Richard Armitage), la sua nuova compagna Grace (Riley Cough) e i figli avuti con la ex moglie Laura (Alicia SIlverstone), Aiden (Jaeden Martell) e Mia (Lia McHugh), si apprestano a passare il Natale. A causa di un impegno di lavoro Richard è obbligato a tornare in città e ad affidare i figli a Grace, pur sapendo che questi non hanno mai accettato la nuova figura materna, considerandola una psicopatica per via del fatto che Grace, da ragazzina, fece parte di una setta i cui membri morirono tutti e lei fu l'unica a sopravvivere per volere del Santone, affinché ne diffondesse il verbo. 


Tecnicamente The Lodge trova i suoi punti di forza nella regia e, soprattutto, nella sceneggiatura. Sebbene il genere abbondi di film ambientati in case isolate, in mezzo alla neve (uno su tutti, Shining), questo brilla per la sua originalità, fornendo allo spettatore la giusta dose di inquietudine, non abusando di Jump Scares (se ne contano solo due, entrambi funzionali alla narrazione) e regalando un finale molto ben gestito oltre che sorprendente. Si scorgono qua e là riferimenti al cinema di Ari Aster (Hereditary e Midsommar), Shyamalan (Il sesto senso, The Village e The Visit) e, immancabilmente a quello di Kubrick (il già citato Shining, non solo per le ambientazioni, ma anche per lo stile di regia). Franz e Fiala, che già con Goodnight Mommy avevano deliziato intere schiere di horrorofili, sono stati bravi a giocare con lo spettatore senza indurlo in confusione e incastrando quasi alla perfezione ogni dettaglio sia per quanto riguarda la trama che la messa in scena, rendendo così la loro nuova opera molto solida dal punto di vista della sceneggiatura. 


Ogni inquadratura sembra architettata per dare l'idea che l'azione si sti svolgendo all'interno di loculi o bare, grazie anche alle frequentissime carrellate all'indietro che donano profondità agli ambienti, ma nello stesso tempo provocano in chi guarda una forte sensazione di claustrofobia. Andando a cercare il pelo nell'uovo, forse la parte centrale risulta un po' troppo diluita, ma non saranno certo quei quindici minuti di pellicola in eccesso a rovinare un'opera che già ora possiamo inserire nelle prime posizioni delle top ten horror di fine anno. 
The Lodge arriverà nelle sale italiane il 16 gennaio 2020 distribuito da Eagle Pictures.
Voto: 8
Luca Cardarelli


domenica 6 ottobre 2019

JOKER (2019) DI TODD PHILLIPS


Fresco vincitore del Leone d'oro alla 76esima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Joker, scritto e diretto da quel Todd Phillips autore della trilogia di "The Hangover" e di film come "Starsky & Hutch" e "Parto col folle", arriva nelle sale di tutto il mondo con la benedizione quasi unanime della critica planetaria, che però non vuole assolutamente sentir parlare di "Cinecomic" (non sia mai, i fumetti sono IL MALE ASSOLUTO!!!), bensì di un film che ha come protagonista una persona qualunque affetta da malattia mentale che, in comune con il celebre personaggio dei fumetti DC Comics, ha solo il nome e nulla più. In questo modo implicitamente la stessa critica accusa Todd Phillips di aver sfruttato l'altisonante nome del principale antagonista dell'Uomo Pipistrello per invogliare più persone possibili ad andare a vedere il suo film, dai cinefili duri e puri agli spettatori "della domenica". 


In realtà Joker è un cinecomic travestito da dramma sociale e politico e non il contrario, come si è altresì convinta la critica "bigotta" e snob festivaliera. A rinforzare questa tesi, le miriadi di citazioni tratte da fumetti, graphic novel e film precedenti a partire da "The killing joke" di Alan Moore e Brian Bolland, "L'uomo che ride" di Ed Brubaker e Doug Mahnke passando per il Batman di Tim Burton, fino ad arrivare ai più recenti "Il Cavaliere Oscuro" di Chris Nolan e "Batman V Superman" di Zack Snyder (quest'ultimo toccato molto marginalmente). Ma Todd Phillips, oltre a fumetti e cinecomic vari, cita pesantemente anche pezzi da novanta del cinema d'autore, in questo caso quello di Martin Scorsese, in quanto il personaggio di Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) rappresenta una sintesi quasi perfetta tra le personalità del taxista insonne Travis Bickle di "Taxi Driver" (1976) e dell'aspirante stand up comedian Rupert Pupkin di "Re per una notte", entrambi interpretati da Robert De Niro, casualmente presente anche in Joker nei panni dell'Anchorman Murray Franklin.
  

Il film si regge quasi totalmente sulle spalle di Phoenix, forse alla sua migliore performance, volto a impersonare in maniera pressoché perfetta un clown psicopatico con una risata che, quasi sempre, sfocia in un abbozzo di piagnisteo nervoso, accompagnato da una modulazione della voce che coinvolge lo spettatore riuscendo a renderlo empatico nei suoi confronti nonostante il suo comportamento non certo da cittadino modello. Quasi sicuramente Phoenix sarà in pole position per l'Oscar al miglior attore protagonista, in caso contrario la malafede dell'Academy sarà più che manifesta. 


In Joker, Joaquin Phoenix impersona il già citato Arthur Fleck, un quarantenne mentalmente disturbato, affetto da una risata patologica che parte ogni qual volta egli venga sottoposto a stress o si trovi in una situazione di disagio. Vive con la madre, anch'essa disturbata, e per sbarcare il lunario fa il clown negli ospedali o davanti ai negozi per invogliare la gente ad entrarci. Il suo sogno è quello di diventare uno stand-up comedian, ma ai suoi spettacoli nei bar di Gotham City le risate sono più rare delle piogge nel Sahara. Subisce la vita, più che viverla: è un emarginato, bistrattato e deriso da chiunque, dal semplice passante ai suoi colleghi di lavoro. Pian piano prenderà consapevolezza di questi soprusi e inizierà un percorso di trasformazione da "reietto" ad agitatore di masse contro la classe dirigente e gli appartenenti al ceto medio-alto della società, fino a diventare il Joker come tutti lo conosciamo.


Si delinea quindi una trama che per certi versi ricorda molto quella di Taxi Driver, cui si affianca una storia parallela alla Re per una notte (ma non entriamo troppo nei particolari) alle quali fa da sfondo una Gotham City sull'orlo del collasso sociale e politico, sporca, cattiva, dove vige l'anarchia e i ricchi sono visti dal popolo come il nemico da abbattere. In questa cornice, converrete anche voi, una personalità deviata e deviante come quella del Joker troverà, in un ipotetico futuro, terreno più che fertile per seminare caos e violenza.


Tutto avrei pensato ma non che sarei uscito dalla sala completamente trafitto dalla potenza che trasuda da questa pellicola, grazie a ogni sua componente, dalla performance del protagonista, assolutamente da Oscar, alle musiche da film horror, dalle ambientazioni claustrofobiche e luride, quasi a sottolineare la corruzione dei costumi e della società, alle luci al neon e alla fotografia fatta di colori acidi, sempre tendenti al verde in ogni sua declinazione, con rari sprazzi di colori più vivaci, il tutto tendente a favorire quella sensazione di sporco che ti travolge non appena ti rendi conto di stare empatizzando con il protagonista guardando con occhi rabbiosi personaggi che normalmente sono considerati "buoni", su tutti Thomas Wayne (Brett Cullen). Il carnefice (Fleck) è prima di tutto vittima della società che lo rende cattivo e vendicativo. La sceneggiatura è scritta in maniera tale da rendere difficile la distinzione tra le scene frutto della mente labile di Fleck e quelle effettivamente vissute. 


Todd Phillips ha impostato regia e messa in scena come se dietro la macchina da presa ci fosse Arthur Fleck stesso, rendendo il tutto ancora più malato e schizofrenico, disorientando oltremodo lo spettatore che viene sottoposto a continui twist narrativi fino alla fine del film, facendo sì che le immagini vengano scolpite nella memoria anche a distanza di giorni dalla visione del film (esperienza personale) e lasciando un film che verrà ricordato come qualcosa di coinvolgente, e sconvolgente ma, contemporaneamente estatico, sublime, potente e rivoluzionario.
Per tutto quanto sopra enunciato, Joker è da considerarsi a tutti gli effetti un punto di svolta in ambito cinefumettistico e non Burton, non Nolan (o comunque non così tanto), non Snyder, bensì Todd Phillips è colui che può fregiarsi di esserne l'autore, avendoci regalato uno dei migliori cinecomic di sempre, se non il migliore. 
Voto: 10
Luca Cardarelli 



mercoledì 18 settembre 2019

ONCE UPON A TIME IN... HOLLYWOOD (2019) DI QUENTIN TARANTINO


Dopo circa quattro anni dalla sua ultima fatica (The hateful eight, 2015) Quentin Tarantino si è finalmente rimesso dietro la sua amata macchina da presa per continuare il suo viaggio attraverso i generi e le epoche del cinema. 


Siamo infatti passati attraverso i gangster movie, kung fu movie, exploitation, blaxploitation, western, guerra, horror e chi più ne ha più ne metta. Per il suo ultimo (capo)lavoro, Quentin Tarantino confeziona un film che i più potrebbero definire atipico. Infatti Once upon a time...In Hollywood è un tributo che Tarantino fa a quel cinema che lo rese, intellettualmente e, in seguito, cinematograficamente, quello che è oggi. Nello stesso momento dimostra amore profondo verso le storie, i personaggi e le ambientazioni proprie della Hollywood sul finire degli anni '60, mantenendo sempre, però, lo sguardo alla realtà, alla cultura e agli avvenimenti di quel periodo. Il film praticamente ruota attorno a due soli personaggi: Rick Dalton (Leonardo Di Caprio) e Cliff Booth (Brad Pitt), rispettivamente un attore ormai sul viale del tramonto e la sua controfigura con cui ha stretto un rapporto amichevole, quasi fraterno. 


Sullo sfondo, l'America del 1969 sulla quale aleggia come uno spettro la figura di Charles Manson, la cui famigerata family sporcherà di sangue le pagine dei quotidiani di tutto il mondo e la vita senza pensieri di Sharon Tate (Margot Robbie), nei giorni che precedettero la sua prematura scomparsa. Pur non avendo una vera e propria trama, o meglio, data la non canonicità della stessa, Once Upon a time in... Hollywood riesce a non stancare mai, e questo grazie alla maestosità del duo di attori protagonisti, una colonna sonora come al solito leggendaria, ma soprattutto grazie al tocco magico e geniale di Tarantino che sembra non riuscire a sbagliare un'inquadratura neanche a volerlo, e, con i suoi dialoghi sempre frizzanti e coloriti, riuscirebbe a rendere interessante anche la lista della spesa. In 2 ore e 40 minuti di film Tarantino è riuscito a condensare tutto ciò che lo esaltava quando era un semplice commesso di videoteca, ma lo ha fatto con una maestria e una padronanza dei mezzi assolutamente senza eguali. Queste considerazioni sono maturate piano piano nei giorni successivi alla visione del film, insieme alla voglia di rivederlo una seconda e, perché no, anche una terza volta sempre al cinema, anche con l'intenzione di ampliare la sua analisi con una recensione successiva, un po' più spoilerosa di questa che, alla fine, è solo la mia opinione messa nero su bianco.


Posso solo chiudere con un consiglio, un ordine e un'ultima considerazione da impartirvi:
Il consiglio è di guardare il film possibilmente in lingua originale per godere appieno di ogni suo aspetto.
L'ordine è di rimanere seduti, inchiodati alla poltrona, durante i titoli di coda. 
La considerazione è che questo film po56ttrebbe non piacere a tutti, nel senso che probabilmente il pubblico occasionale, attirato alla visione del film dai nomi altisonanti del cast e un trailer accattivante, potrebbe trovare Once upon a time in... Hollywood leggermente noioso e insignificante, soprattutto se si pone davanti al film con l'idea di stare per vedere un film alla Pulp Fiction. 

Invece l'altra metà di pubblico, composta da cinefili duri e puri e fan tarantiniani d.o.c., si innamorerà di ogni sua singola sequenza, bramando una doppia, tripla, quadrupla visione al cinema, recependo l'atto d'amore (non volevo usarla questa espressione, ma non saprei come altro definire questo film) che è questo film verso il cinema stesso e verso chi il cinema, e in particolare quello di cui Tarantino si è fatto massimo latore, lo ama incondizionatamente. 
Per ora mi esimo dal dare voti numerici alla pellicola, ma sappiate che solo a pensare di riguardarlo, mi batte forte il cuore. 
Luca Cardarelli


domenica 8 settembre 2019

TRILOGIA THE HANGOVER (UNA NOTTE DA LEONI) DI TODD PHILLIPS


In occasione del compimento dei 10 anni del film "Una notte da leoni", che inaugurò la fortunata omonima trilogia, diretto e co-prodotto da Todd Phillips, mi cimenterò nell'esporre una mia personale analisi di tutti e tre gli episodi, prendendo in esame trame, personaggi e aspetti tecnici di ognuno di essi. Affronterò questo cammino sia per quanto sopra riportato, ovvero il decimo compleanno del primo episodio, sia per approfittare del momento, visto che Todd Phillips è reduce dall'incredibile successo di critica e pubblico riportato a Venezia grazie al suo ultimo lavoro, Joker, con Joaquin Phoenix. Prima di addentrarci nelle avventure del Wolfpack (in Italia tradotto con "i Leoni"), è bene sottolineare come Todd Phillips, prima di The Hangover, avesse diretto solo documentari musicali o di stretta attualità, e tre lungometraggi comici come "Road Trip" (2000) "Old School" (2003) e "Starsky & Hutch" (2004).


Il regista Newyorkese ritorna dopo cinque anni di pausa dietro la macchina da presa per dirigere, su soggetto e sceneggiatura scritti da Jon Lucas e Scott More (già sceneggiatori di "14 anni vergine" e "La rivolta delle ex"), il quartetto formato da Bradley Cooper (Phil), Ed Helms (Stu), Justin Bartha (Doug) e Zack Galifianakis (Alan), ignaro che il film che stava per girare sarebbe diventato un cult come pochi altri e soprattutto il primo capitolo di una trilogia comica con pochi eguali nella storia, sia a livello di comicità in sé, sia a livello di incassi. 


L'idea di base, ovvero l'addio al celibato, sebbene non fosse tra le più originali, venne elaborata talmente bene e in maniera talmente geniale, da rendere il film accattivante e pieno di colpi di scena dall'inizio alla fine. Una notte da Leoni racconta le disavventure dei quattro leoni sopra menzionati che, in occasione dell'addio al celibato di Doug, sotto l'effetto di alcol e rufilin (la droga dello stupro), mettono a ferro e fuoco Las Vegas, scontrandosi con spacciatori, criminali internazionali, spogliarelliste, un sequestro di persona e persino Mike Tyson, incredibile guest star che ritroveremo anche nel secondo episodio, per poi dimenticarsi tutto al risveglio in Hotel. E il film si sviluppa proprio in funzione del tentativo dei protagonisti di ricostruire i fatti che li hanno portati a svegliarsi in una suite costosissima del Caesar Palace completamente devastata, con un neonato nello sgabuzzino, una tigre enorme nel bagno e Doug, lo sposo, scomparso nel nulla. Phil, Stu e Alan, personaggio al quale vanno attribuite le maggiori responsabilità su quanto accaduto, gireranno per Las Vegas scoprendo cose raccapriccianti, tra Ospedali, commissariati di polizia e cappelle per matrimoni improvvisati. Inoltre faranno la conoscenza di Mr. Chow (Ken Jeong) (altra calamità umana). 


Ma se quello che si vede nel primo episodio può essere già definito assurdo, ancora più assurdo sarà quello che vedremo nel secondo episodio, datato 2011. Stavolta abbiamo Stu che, interrotta la releazione con la a dir poco dispotica Melissa (Rachel Harris), è in procinto di sposarsi in Thailandia con Lauren (Jamie Chung) figlia del quotatissimo chirurgo Fong (Nirut Sirichanya) il quale non vede di buon occhio il futuro genero, considerandolo un mediocre (e il fatto che sia un dentista acuisce il disprezzo nei suoi confronti). Di addii al celibato Stu non en vuole sapere, dato che durante l'ultimo a cui aveva partecipato si era trovato senza un dente e sposato con una spogliarellista di Las Vegas e per di più drogato a sua insaputa. Quindi si limita a invitare Phil e Doug (a proposito, poi l'avevano ritrovato e il matrimonio con Tracy non saltò, per fortuna) al matrimonio, precisando di non aver invitato Alan per i motivi sopra elencati. Ma Tracy spinge il marito Doug a convincere Stu a invitarlo, ricomponendo nuovamente il Wolfpack.


Continente diverso, ma situazione identica: dopo una bella cena organizzata dalla famiglia della sposa la sera di vigilia del matrimonio, i quattro leoni, con l'aggiunta di Teddy (Mason Lee), il fratello di Lauren, studente modello a Stanford e violoncellista in erba (il cocco di papà, insomma), unitosi ai quattro per il viaggio dall'America, si radunano sulla spiaggia per un falò a base di birre (ancora sigillate, per far star tranquillo Stu) e marshmallows. Il risveglio sarà ancora più traumatico di quello di Las Vegas: Bangkok, camera di Hotel lercia, afa incredibile, una scimmietta che zompetta ovunque, Phil, Alan e Stu rintronatissimi. Stu si risveglia con il tatuaggio di Mike Tyson in faccia, viene trovato un dito di Teddy in un bicchiere, Teddy ovviamente non è in stanza con i tre (Doug è tranquillo a bordo piscina della location del matrimonio a fare colazione) e, dopo poco scopriranno che con loro vi è anche Mr. Chow che, contattato da Alan nottetempo li aveva raggiunti in motoscafo e portati a Bangkock e che, di lì a poco, andrà in arresto cardiaco per una "botta" di cocaina andatagli di traverso. 


Creduto morto, Chow verrà sistemato nella macchina del ghiaccio all'ultimo piano del fatiscente palazzo. Troviamo, dunque, ancora Phil, Stu e Alan alla ricerca di una persona scomparsa, Teddy, con la memoria totalmente cancellata su quanto accaduto durante la notte appena trascorsa (dapprima Alan negherà, ma poi ammetterà di aver "manomesso" i marshmallows, con l'intento di far sballare Teddy, colpevole, a suo dire, di essersi messo al centro dell'attenzione, oscurando così la sua figura di "mascotte" incontrastata fino ad allora. Le cose che scopriranno durante la giornata saranno talmente sconvolgenti da far pensare che su di loro qualcuno abbia scagliato una maledizione. Infatti avranno a che fare con un monaco buddista totalmente muto per via del suo voto di silenzio, una spogliarellista transgender (Stu, allora è un vizio!!!), un venditore di armi, un'organizzazione internazionale dedita al traffico di droga (e per poco Phil non ci lascia le penne) e, ovviamente, un agente dell'Interpol, Mr. Kingsley (Paul Giamatti) il quale agisce sotto le mentite spoglie di un narcotrafficante internazionale. 


Infine, nel terzo episodio, non si parla di addii al celibato o matrimoni imminenti, ma assistiamo alle conseguenze delle azioni del Wolfpack compiute (o subite) nei primi due capitoli e alla chiusura della trilogia. Ovviamente il tutto non può che cominciare con l'ennesima "marachella" di Alan che costa la vita ad una povera giraffa e finisce addirittura sui giornali a causa di un megaincidente causato in autostrada e, come se non bastasse, durante la sfuriata casalinga, Sid, il papà del combinaguai, viene colto da un attacco di cuore e passa a miglior vita. La misura è colma, ormai, e i genitori, di comune accordo con amici e conoscenti, decidono di spedire Alan, affetto da gravi problemi mentali, in una struttura riabilitativa in Arizona. Ovviamente dovranno portarcelo tutti e tre, Phil, Stu e Doug, per rendergli più appetitoso il boccone amaro che sta per ingerire. Durante il viaggio i quattro vengono intercettati da dei criminali mascherati, speronati e dirottati in mezzo al deserto, dove ad attenderli trovano Marshall, un gangster al quale Chow (sì, sempre lui) rubò ai tempi delle vicende di Las Vegas lingotti d'oro per un valore di 21 milioni di dollari. A quel punto Marshall, non sapendo come fare per rintracciare Chow, latitante dopo essere evaso da una prigione Thailandese, non ha trovato di meglio che rintracciare colui che si era sempre tenuto in contatto, all'insaputa di chiunque, col criminale cinese, ovvero Alan (eccolo, un altro guaio). Marshall ordina a Phil, Stu e Alan di recuperare Chow e l'oro trafugato e si prende come pegno Doug. Anche in questa occasione ne vedremo delle belle.


Dopo aver esposto in maniera più o meno approfondita le trame dei tre singoli capitoli, passiamo ad analizzare globalmente la trilogia che presenta tre parti caratterizzate da analoga struttura narrativa, per intenderci, come potemmo notare in altre trilogie, una su tutte quella di ritorno al futuro che, addirittura, presentava tre storie praticamente identiche, solo ambientate in tre epoche diverse. In The Hangover di diverso abbiamo le ambientazioni (Las Vegas, Bangkok, Tijuana), ma gli eventi che si susseguono sono praticamente sempre gli stessi. Certo, mentre i primi due capitoli prendono piede dal fatto che uno dei personaggi è sul punto di sposarsi, il terzo appare un po' come un pesce fuor d'acqua, in quanto di matrimoni non vi è traccia, tantomeno di addii al celibato, ma è comunque collegato ai film precedenti per via della sceneggiatura che li unisce sotto l'aspetto causa/effetto, fungendo da "chiusura del cerchio" e concludendo in maniera ottimale la trilogia. 


La saga unisce perfettamente comicità, azione e suspence risultando in questo modo accattivante e assolutamente priva di punti morti, con un susseguirsi ossessivo di avvenimenti che non permettono mai allo spettatore di staccare gli occhi dallo schermo. I colpi di scena sono sempre dietro l'angolo e quando la situazione sembra ormai risolta ecco che arriva un evento, un personaggio, una svolta di trama assolutamente inaspettati. 


I personaggi, sono scritti benissimo e la loro psicologia viene indagata sempre più approfonditamente lungo l'intera saga. Ma i due personaggi attorno ai quali ruotano tutte le vicende sono Alan e Chow, due mine vaganti, uno a causa del suo essere infantile e incosciente, l'altro a causa del suo essere un criminale che bilancia il suo buffo aspetto con un cervello affilato come la lama di un rasoio (in sostanza, una ne fa e altre cento ne pensa). Oltre a essere le cause scatenanti di ogni guaio che i poveri Phil, Stu e Doug devono affrontare e risolvere, sono anche i due personaggi che sorreggono l'intera struttura comica del film. 


Se a questi elementi aggiungiamo una regia attenta, sceneggiature intricate ma che, come dei puzzle, alla fine fanno sì che ogni tassello vada a finire al posto giusto (ed è questo l'elemento che più mi ha fatto apprezzare i tre film), un montaggio dai ritmi forsennati, soprattutto nelle fasi più concitate delle narrazioni, e una colonna sonora che viaggia su note rock and heavy, con qualche licenza pop (ad un certo punto parte Mmmbop degli Hanson, ad esempio), non possiamo che applaudire e continuare a gustarci in home video le disavventure del Wolfpack. 
Applausi ovviamente anche a Todd Phillips che, da ieri, 7 settembre 2019, è entrato ufficialmente a far parte dei grandi di Hollywood grazie al Leone d'oro conquistato al Lido con il suo Joker (prodotto da Martin Scorsese, questo va sottolineato), primo film dedicato ad un personaggio del mondo dei fumetti (DC Comics) nella storia ad essere stato presentato e ad aver vinto il premio come miglior film a una kermesse importante come quella della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, arrivata quest'anno alla sua settantaseiesima edizione. 
Luca Cardarelli

martedì 3 settembre 2019

IT CAPITOLO 2 (2019) DI ANDY MUSCHIETTI


Dopo due anni di attesa, è infatti datato 2017 il primo capitolo del remake dell'omonima miniserie televisiva del 1989, finalmente torna al cinema Pennywise, per gli amici It, nel secondo capitolo della storia tratta dal più celebre romanzo firmato da Stephen King. Come narra la leggenda, ogni 27 anni questa entità mostruosa si manifesta puntualmente e miete vittime generalmente in età infantile, come il piccolo Georgie Denbrough, fratello di Bill, dalla cui scomparsa prendono piede le vicende del romanzo e del film.


Il club dei perdenti, originatosi subito dopo la sparizione di Georgie e formato da Bill, Ben, Mike, Beverly, Richie, Stanley ed Eddie, si è ormai sciolto, sebbene i suoi appartenenti si promisero di riunirsi nel caso in cui anche solo uno di loro si fosse trovato davanti lo spaventoso Clown Danzante. Siamo ai giorni nostri e tutti i Loser hanno preso strade diverse. Ma un giorno Bill (James McAvoy), Beverly (Jessica Chastain), Richie (Bill Hader), Ben (Jay Ryan), Stanley (Andy Bean) ed Eddie (James Ransone) ricevono una chiamata proveniente da Derry, la loro città natale: all'altro capo del telefono vi è Mike (Isaiah Mustafa) che da quella città non se n'è mai andato e che, unico del suo gruppo di amici memore delle (dis)avventure d'infanzia, reclama il loro ritorno nel Maine per combattere il redivivo Pennywise (Bill Skarsgaard), come imponeva il patto di sangue di ventisette anni prima. 


Andando subito al sodo, aggirando qualsiasi tipo di spoiler (sebbene la storia la conoscano tutti o quasi), It capitolo 2 riparte esattamente da dove si era interrotta la storia, ovvero dal patto di sangue dei loser ragazzini. Lo fa, però, con l'acceleratore premuto al massimo, amplificando a dismisura la sua essenza Horror, mischiandola in maniera equa con interminabili sequenze nelle quali la tensione e l'inquietudine regnano sovrane, esplodendo infine nei classici jumpscares che, al contrario di quel che tutti penseranno, non saranno mai prevedibili né ripetitivi, in quanto ben distribuiti all'interno della narrazione. Sebbene la durata si avvicini pericolosamente alle tre ore, It capitolo 2 non annoia, poiché Muschietti è stato molto abile a riempire con quanti più episodi e particolari possibili il racconto, pescando avidamente dal romanzo, rendendo questa seconda parte molto più aderente all'opera letteraria dalla quale è tratta. 


Rispetto al primo capitolo, che molti definirono, in maniera quasi spregiativa, una via di mezzo tra lo stesso It e Stranger Things, tanto da etichettarlo come "un film per ragazzini", questa seconda parte risulta, da un lato, molto più matura, e dall'altro, un vero e proprio film horror a prova di fan, sia del genere in sé sia dell'opera letteraria nonché di quelli appartenenti al club "nessuno tocchi la miniserie anni 80". Tutto questo viene impreziosito da decine di citazioni cinefile, un inaspettato cameo (che non svelo, non sia mai), ma la cosa che più colpisce di questo film è il cast: gli attori selezionati per interpretare i personaggi in età adulta sembrano essere veramente gli stessi attori del capitolo 1 invecchiati di 30 anni, su tutti Jay Ryan (Ben) e Bill Hader (Richie), quest'ultimo in odore di nomination per la propria, strepitosa performance. E non dimentichiamoci di Bill Skarsgaard che continua ad essere un Pennywise incredibilmente inquietante e terrificante come lo era stato nel primo capitolo. 


Tirando le somme, questo It capitolo 2 è da promuovere a pieni voti sia per la riscrittura e l'adattamento cinematografico del soggetto, che per la regia di Muschietti che pare aver tenuto conto delle critiche ricevute dopo il primo capitolo, confezionando un prodotto di alta qualità e molto ben indirizzato a livello di audience e, infine, anche dal punto di vista delle prove attoriali, frutto di un cast a dir poco stellare. Se dobbiamo trovare un difetto, forse Muschietti ha abusato leggermente dei flashback, ma sarebbe veramente inopportuno bocciare il suo film solo per questo dettaglio.
It Capitolo 2 sarà nelle sale italiane dal 5 settembre e il mio consiglio è di cercarne una che lo proietti in versione originale sottotitolata.
Voto 8,5.
Luca Cardarelli



domenica 7 luglio 2019

Spider-Man Far from Home (2019) di Jon Watts



Dopo lo sconvolgente Avengers Endgame dei Fratelli Russo, un nuovo capitolo del Marvel Cinematic Universe è pronto per essere servito a tutti i fans dell'Universo supereroistico che conta ormai 22 film, 23 se contiamo anche questo, che concluderà la cosiddetta Fase 3. 
Sequel diretto sia di Spider-man Homecoming (2017) che di Avengers Endgame (2019), Far from home ci riporta a New York, più precisamente nel Queens, dove il giovane Peter Parker (Tom Holland) ha potuto riabbracciare la sua zietta May (Marisa Tomei) e la sua cricca di compagni di scuola formata dall'inseparabile Ned (Joseph Batalon), MJ (Zendaya) e Flash (Tony Revolori). Questa volta Peter e compagni saranno impegnati in un viaggio scolastico che li porterà in Europa dove vivranno un'avventura itinerante tra passioni adolescenziali e situazioni al limite dell'incredibile... e per quanto riguarda la trama abbiamo anche già rivelato troppo. Per evitare qualsiasi spoiler, dunque, mi limiterò ad esprimere la mia umile opinione su questo nuovo film visto in super anteprima.


Partendo dal presupposto che al centro dell'azione, salvo tre o quattro personaggi un po' più agée (Nick Fury/Samuel L. Jackson, Maria Hill/Cobie Smoulders, Quentin Beck/Mysterio/Jake Gillenhaal), ci sono esclusivamente teenagers, il film si pone come target principale un pubblico di Teenagers, infatti possiamo benissimo parlare di una highschool comedy camuffata da action comedy a sfondo supereroistico (avete presente quelle commediole a cavallo tra gli anni 80 e i 90 tipo "Una spia al liceo? Ecco, numerose volte durante la visione ho avuto come l'impressione di star guardando proprio quel film). 


Non mancano i riferimenti, alcuni anche commoventi, ad Endgame, ovviamente. Iron Man è ancora tra di noi, ragazzi. Il suo tuttofare Happy (Jon Favreau) è molto presente nelle fasi topiche del film e strapperà più di una risata, come suo solito. Se mi chiedessero "cosa non ti è piaciuto di Far From Home", risponderei sicuramente la parte iniziale: i primi 30-40 minuti sono abbastanza raffazzonati e, sebbene lo spiegone (inutile che vi stia a specificare cosa ci fosse da spiegare) con voce fuori campo sia stato evitato, la soluzione alternativa adottata ha dato l'impressione di essere stata pensata nei 5 minuti precedenti alla consegna del "girato" ai montatori e agli addetti della post produzione. E anche la parte girata a Venezia, soprattutto a noi italiani, ci porterà alla mente gli stessi luoghi comuni sugli italiani presenti in film come Mangia prega ama, per citarne uno a caso (ma poi, gli americani sono in fissa con Umberto Tozzi, per caso?).


Invece, se dovessi rispondere alla domanda "cosa ti è piaciuto di Far From Home?", non potrei che dire che da metà in poi il film è una dannata bomba, roba da farmi spalancare occhi e bocca per la meraviglia delle scene che si susseguono. Ma non voglio rovinarvi la sorpresa e mi limito a esortarvi di portare pazienza durante i titoli di coda e di attendere le due scene extra. 
Spider-Man Far from Home esordirà nei cinema italiani il 10 luglio 2019, distribuito da Warner Bros Entertainment Italia (sì, lo so che sembra un errore, ma è davvero così).

Voto: 8,5
Luca Cardarelli