Eccoci all'ultima recensione in anteprima del 2014. Si sa, il dolce arriva alla fine, e quest'anno il dolce si chiama American Sniper. Il grande Clint Eastwood difficilmente sbaglia i propri film. Se proprio vogliamo fare i pignoli, diciamo che quel mappazzone soporifero che risponde al titolo di J Edgar ce lo avrebbe potuto anche risparmiare. Ma per il resto siamo ben soddisfatti dall'ex Biondo di Leoniana memoria che quest'anno ci ha sfornato addirittura due film: American Sniper e Jersey Boys (uscito a giugno in Italia) di cui abbiamo letto solo belle recensioni pur essendo un film musicale (non un musical, intendiamoci), genere non apprezzatissimo da queste parti (e infatti è uno dei film che non abbiamo visto).
American Sniper è un film di guerra. Anzi, è un film sulla guerra. Anzi, correggiamo il tiro: è un film su un eroe americano (Chris Kyle/Bradley Cooper) che ha preso parte alla guerra in Iraq (si arruolò dopo i fatti dell'11 settembre) con il compito preciso di guardare (dall'alto) le spalle ai commilitoni durante le operazioni sul campo di battaglia. E ne ha salvati, di commilitoni. Per converso è stato il cecchino più letale della storia dell'Esercito Americano con un bollettino che registra circa 200 (cifra più, cifra meno) vittime nemiche cadute per mano sua (compresi donne e bambini, precisiamolo). Ma per Chris questo rappresentava un dato secondario. Ciò che lo fece vivere male fu il numero di compagni che egli non riuscì a salvare dai nemici. E, sebbene il numero di compagni morti fosse di gran lunga inferiore a quello dei salvati, Chris non si diede pace. Fatto sta che una volta superato (apparentemente) questo suo cruccio, mentre si stava apprestando a tornare a vivere serenamente, venne ucciso da un reduce in un poligono in Texas, dove viveva con moglie e figli.
In realtà American Sniper, come ogni film di Clint Eastwood, è un'opera complessa che va al di là della semplice opera biografica. In esso troviamo un po' di tutto: analisi psicologica del protagonista, della moglie (Taya Renae Kyle/Sienna Miller) e di altre figure di contorno, una dose di sano patriottismo che non guasta mai (Flags of our Fathers ne è un esempio) e una nemmeno tanto velata critica sociale (Eastwood ci ha abituati da Repubblicano qual è a schierarsi spesso contro gli stessi ideali della sua "fazione" di appartenenza, come fece in quel gran copolavoro di "Gran Torino").
Bradley Cooper incarna alla perfezione il militarone texano tutto Patria, Dio e Famiglia (valori a sua volta tramandatigli dal padre) che diviene "Leggenda" per l'Esercito Americano e "il Diavolo" per le opposte fazioni irachene. Eastwood l'ha scelto non solo per la somiglianza all'originale Chris Kyle, ma anche perchè Cooper dà effettivamente l'idea, con il suo faccione un po' ebete (spero ci perdonino le sue fans), di essere un tipo alla Chris Kyle. E la sua interpretazione è di altissimo livello, quasi a toccare quello raggiunto in American Hustle e Silver Linings Playbook (Il lato positivo) di David O. Russell. Quindi lode a Bradley Cooper.
Eastwood paragona la missione in Iraq con la fallimentare e sanguinosa spedizione vietnamita degli anni 60/70, soprattutto sottolineandone in maniera molto marcata gli effetti sulla psiche dei soldati, in particolare sullo stesso Kyle, rimpatriati dopo la fine del loro servizio in Medio Oriente. La guerra riempie i loro pensieri. Nel silenzio della notte texana Kyle sente ancora esplosioni e colpi di mitragliatrice che altro non fanno che aumentare i suoi sensi di colpa per le morti dei compagni di battaglione che egli stesso doveva proteggere con la sua infallibile mira da cecchino. La guerra gli è entrata nel sangue come un virus che con molta fatica, comunque, anche grazie all'amore della moglie e dei figli, riuscirà a debellare, andando però incontro ad una morte che sa di beffa.
Ma, oltre al critica, Eastwood dedica il film a tutti i soldati che hanno sacrificato la propria vita per una causa non si sa quanto giusta o quanto sbagliata. E il Silenzio suonato in concomitanza delle scene del funerale di Kyle, salutato come un Eroe, è un perfetto epilogo per questo film, capace di fare riflettere sugli orrori della guerra e su ciò che essi provocano a chi, volontariamente o meno, ne ha preso parte.
Eastwood paragona la missione in Iraq con la fallimentare e sanguinosa spedizione vietnamita degli anni 60/70, soprattutto sottolineandone in maniera molto marcata gli effetti sulla psiche dei soldati, in particolare sullo stesso Kyle, rimpatriati dopo la fine del loro servizio in Medio Oriente. La guerra riempie i loro pensieri. Nel silenzio della notte texana Kyle sente ancora esplosioni e colpi di mitragliatrice che altro non fanno che aumentare i suoi sensi di colpa per le morti dei compagni di battaglione che egli stesso doveva proteggere con la sua infallibile mira da cecchino. La guerra gli è entrata nel sangue come un virus che con molta fatica, comunque, anche grazie all'amore della moglie e dei figli, riuscirà a debellare, andando però incontro ad una morte che sa di beffa.
Ma, oltre al critica, Eastwood dedica il film a tutti i soldati che hanno sacrificato la propria vita per una causa non si sa quanto giusta o quanto sbagliata. E il Silenzio suonato in concomitanza delle scene del funerale di Kyle, salutato come un Eroe, è un perfetto epilogo per questo film, capace di fare riflettere sugli orrori della guerra e su ciò che essi provocano a chi, volontariamente o meno, ne ha preso parte.
Tecnicamente il film è una vera e propria bellezza: montaggio stratosferico, colonna sonora bellissima (curata come al solito dallo stesso Eastwood) e una fotografia da urlo conferiscono ad American Sniper quel velo leggendario che si confa a produzioni del genere (ci vengono in mente "Salvate il soldato Ryan" di Steven Spielberg e ancora "Flags of Our Fathers" dello stesso Eastwood). Sicuramente "American Sniper" è degno di entrare nella lista dei migliori film del 2014, anche se in Italia uscirà solo a capodanno. Siamo curiosi di vedere quali reazioni provocherà nel publlico.
Un bell'8,5 se lo merita tutto.
Luca Cardarelli.
Un bell'8,5 se lo merita tutto.
Luca Cardarelli.
Ecco, io avevo proprio paura del patriottismo e dell'essere repubblicano di Clint (che per me è democratico, solo che ancora non lo sa), ma se mi dici che sono particolari che non intaccano la bellezza del film, allora lo voglio vedere ancora più di prima :)
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