Matematico, logico, crittografo: Alan Turing era una mente brillante, un prodigio con la sconfinata passione per la risoluzione dei problemi. Passare dal completare un cruciverba a decriptare Enigma, il sistema usato dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale per rendere incomprensibili i propri messaggi, non è stato certo immediato. Ci sono voluti anni di sacrifici, di sconfitte e piccole vittorie fino a culminare con la creazione di una macchina in grado di decifrare le comunicazioni tedesche, comportando così il salvataggio di milioni di vite e la fine anticipata della guerra. Alla base di questo ennesimo ed enormemente illustre problema risolto della sua vita, risiede un semplice ragionamento: e se la mente umana non fosse in grado di sconfiggere una macchina? Se così fosse, perché allora non creare un’altra macchina per uno scontro equo? Macchina contro macchina. È da questa semplice idea che è successivamente nato quello che noi usiamo ogni giorno, per svago o per lavoro, il computer. Alan Turing, uno dei padri dell’informatica e grande risolutore. I contributi che ha apportato alla storia sono infiniti, eppure la sua vita è stata tormentata, la sua figura passata in secondo piano. Il segreto di stato imposto intorno ad Ultra, cosi venne chiamato il programma a cui Turing e i suoi colleghi lavorarono al centro di crittoanalisi di Bletchley Park per vincere la guerra, di certo contribuì a farlo rimanere nell’oblio per molto tempo, ma non fu solo questo. Alan era un omosessuale non dichiarato, e quello che tutti oggi dovrebbero dare per scontato al tempo non lo era. Non c’era libertà sessuale, l’omosessualità, considerata al pari di un atto osceno, era un reato. Messo difronte alla scelta tra il carcere e la cura ormonale, Turing decise per la seconda e da lì in poi la sua vita si spense gradualmente. Come è successo a molte grandi personalità che con le loro menti hanno largamente condizionato ed influenzato la nostra storia, il genio del matematico inglese è stato riconosciuto molto dopo la sua morte. La regina Elisabetta II gli ha concesso una grazia postuma solo nel 2013: una presa in giro, come sostenuto dallo stesso attore che l’ha interpretato, che non lenisce minimamente il danno arrecato al matematico di Manchester. Nell’ottica di questa sua grande storia, delle sue vittorie e dei suoi più grandi drammi, The Imitation game ha l’enorme pregio di portare all’attenzione di tutti e di mettere in primo piano, dove merita, una vita segnata. Di spingere lo spettatore ad emozionarsi di fronte ad una pagina della storia poco esplorata.
È inoltre una storia d'amore. Il giovane Alan e il suo compagno di classe Christopher Morcom, un personaggio chiave della vita del matematico, un legame profondo che durerà ben oltre la morte del suo amico, e che lo spingerà a dare alla sua macchina il nome del suo più grande amore. Alan Turing e Christopher sempre insieme, in un modo o nell'altro. Il film gode di una sceneggiatura solida, Graham Moore celebra a parole la vita del protagonista, colpisce in modo semplice ed immediato la coscienza degli spettatori e impregna il tutto di un pungente humor inglese che strappa spontanee risate. Non a caso questa sua fatica è stata in vetta alla Black list 2012, la lista Hollywoodiana delle migliori sceneggiature non prodotte dell’anno. Al posto di comando abbiamo il talentuoso regista norvegese Morten Tyldum, già autore di film di successo come Buddy e Headhunters, che ci racconta la storia come un padre racconta una fiaba ai propri figli, ci pone dinnanzi la vita di un uomo e ne esamina ogni dettaglio con transporto e devozione. E la sua pellicola riesce con enorme successo nel suo scopo primario: quello di esplorare, rendere giustizia e celebrare nel migliore dei modi l’esistenza e il lavoro del matematico ed avvicinare le persone ad un personaggio intricato quanto i puzzle che amava tanto risolvere.
E, punto fondamentale, non cade nel facile tranello del dramma fine a sé stesso evitando di ascrivere il film al servizio della tragica fine del protagonista, e concentrandosi invece su ciò che l’ha reso grande agli occhi del mondo. In questo ultimo caso l’attaccamento al personaggio, dopo due appassionate ore passate con lui, è tale da provocare in ogni caso rabbia e commozione per il rispetto e gratitudine che avrebbe dovuto abbondantemente ricevere in vita, e di cui invece è stato privato. Colonna sonora sublime di Alexandre Desplat, di diritto tra i migliori compositori di sempre, pittore di note e accordi. Capitolo finale, il cast. E’ risaputo che un film, seppur scritto e diretto superlativamente, perda significato senza un cast di alta qualità. Ovviamente non è questo il caso, i personaggi storici delineati nel film si confondono con gli attori, creando un tutt’uno tra realtà e finzione, tra storia e vita, tra film e documentario.
Come la macchina creata da Turing, il cast prende vita propria, si fa corpo e mente del film conferendo veridicità ed emotività. Charles Dance, Keira Knightley Matthew Goode, Mark Strong, Rory Kinnear, il fior fiore della scuola di recitazione inglese. Benedict Cumberbatch merita un capitolo a parte, la sua interpretazione è la principale artefice della riuscita del messaggio del film. È grazie a lui che ci appassioniamo alla vita di Turing, è grazie a lui che soffriamo e ridiamo con lui, ed è sempre grazie a lui che realizziamo quanto ci siamo persi, quanto poco sappiamo di lui, quale importanza ha avuto e avrà nel tempo. Benedict Cumberbatch si fa Alan Turing e, seppur per due sole ore, lo riporta in vita, ce lo presenta e ce ne fa innamorare. Precisamente quello a cui miravano tutti coloro che hanno lavorato al film.
Missione compiuta, puzzle risolto, codice decriptato.
Preparatevi a uscire dalla sala migliori, appagati e soddisfatti.
Nelle nostre sale dal 1° Gennaio 2015
Voto 9/10
Beatrice Montresor
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